Allora, si chiamava Mourinho il guaio della Roma? Infatti, nonostante fossero arrivati alla corte di Trigoria due campioni come Dybala e Lukaku, la squadra continuava a balbettare.
Passaggi corti in linea orizzontale, mai un lancio di quaranta metri in grado di superare la difesa avversaria, un pacchetto arretrato che continuava a prendere gol a gogo. Insomma una delusione assoluta, se non un disastro per quei tifosi che non parlano d’altro non solo la domenica, ma anche gli altri giorni della settimana.
I giallorossi non divertivano più, pure quando riuscivano a strappare un risultato positivo o primeggiavano nella Conference League, un torneo di consolazione per quelle squadre che in campionato non avevano combinato un granché. Il quadro era questo, i meno fanatici cominciavano a storcere la bocca, si annoiavano e non capivano quale fosse il malanno della Roma.
Quasi tutti tranne la curva sud, gli ultras, i quali erano stati ammaliati dall’allenatore e non perdevano una partita: Olimpico sempre strapieno e cori continui verso il “number one”. Chiunque pensasse il contrario veniva cancellato dalla lista dei superfanatici. Il crollo c’è stato quando la Roma ha perduto l’ennesimo derby con la Lazio. All’ombra del Colosseo perdonare non è difficile tranne che per la stracittadina. La proprietà americana era titubante: con Mourinho, malgrado fossero stati loro a volerlo a tutti i costi, il feeling si era inceppato, soprattutto perché non gradivano l’atteggiamento dell’allenatore che si faceva espellere una domenica si e l’altra pure.
Perché Mourinho non riusciva a ripetere tutto quello che aveva raggiunto nell’anno del triplete, tre traguardi, tre vittorie alla guida dell’Inter? Il calcio era cambiato, le sue idee superate? Assolutamente no, lui rimaneva tra i coach più rinomati al mondo, insieme con Carlo Ancelotti e Antonio Conte. Quindi, quali erano le ragioni per cui la Roma non andava, ma soprattutto annoiava?
Ora che non è più a Trigoria i rumors serpeggiano e continuano ad aumentare. Con molti giocatori, Mourinho aveva rotto i rapporti: non li considerava più e li mandava in campo solo quando non ne poteva fare a meno. Le solite divisioni dello spogliatoio aumentavano e la squadra continuava a inanellare sconfitte. Però non era solo questo il motivo per la cui la situazione andava peggiorando. Gli si rimproverava ad esempio di aver voluto tra i pali della porta un suo conterraneo, Rui Patricio che i più cattivi cominciarono a definirlo non un portiere, ma un citofono. Poi, non piaceva anche l’asse con un altro portoghese, Tiago Pinto, diventato direttore sportivo della società nel gennaio del 2021. I Friedkin, proprietari della Roma, dovevano usare molto tatto se avessero deciso di licenziare Mourinho. Diversi tifosi lo amavano alla follia e chiunque fosse arrivato al suo posto non sarebbe stato gradito (eufemismo) alla curva sud.
Che fare? Stavolta, lo si deve ammettere, i “padroni” giallorossi si sono comportati non solo diplomaticamente, ma anche con tanta furbizia. Chi poteva sedere sulla panchina giallorossa se non un altro idolo degli ultras? Francesco Totti aveva troppi pensieri familiari, ecco quindi spuntare un altro nome, quello di Daniele De Rossi, una vecchia, amata bandiera diventato il capitano quando il “pupone”aveva deciso di mollare gli ormeggi.
Tre partite, nove punti: un quasi sogno che ha portato la Roma ad essere di nuovo in gara per la Champions del prossimo anno. Mourinho è già un ricordo? Per alcuni, una liberazione; per altri, rimasti vedove, almeno la gioia di rivedere la loro squadra in campo.
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