“Non c’è pace tra gli ulivi, non c’è pace in Ucraina, non c’è pace meno che mai nella politica in Italia” - Blitzquotidiano.it (foto Ansa)
Che pace è mai questa, se chi è stato aggredito non partecipa ad un incontro nel quale si torna a parlare di fine della guerra?
Accade nel mondo di oggi in cui tutto pare andare a rovescio. Se si arriverà al traguardo sarà un accordo o una resa? È quel che teme Zelensky, il leader ucraino che sta alla finestra e aspetta. Che cosa?
L’unica realtà è che Russia e Stati Uniti lo vogliono far fuori. Putin lo sogna da tempo, Trump si mette in disparte tanto è una circostanza che non lo tocca. Allora, prima si andrà alle elezioni (che l’attuale premier perderà certamente) poi si parlerà di pace.
Come si può definire una simile messa in scena? Tacciono in molti compresa la nostra Europa che Macron invita a Parigi per un summit che non prende nessuna decisione. Sono pochi i commensali e non trovano un punto d’incontro, figurarsi se a quel tavolo fossero stati presenti i 27 Paesi del vecchio continente.
Dovrebbe esserci un pensiero unico per contare qualcosa. Mario Draghi lo ricorda e ne fa una bandiera, ma che fine faranno le sue parole? Avranno effetto o finiranno nel dimenticatoio? Insomma, è una Europa che somiglia molto all’Italia in cui ogni decisione (se arriva) viene con il contagocce. Anche in un momento in cui tutti dovrebbero avere uno stesso pensierosi ripete il ritornello di sempre: uniti mai, divisi sempre.
C’è una Patria che è vicina agli Stati Uniti e che predica prudenza; e c’è chi spara a zero contro i guerrafondai o presunti tali. I contrari all’America li conosciamo: in prima fila ci sono i pentastellati di Giuseppe Conte che ripetono come un mantra che se c’è una colpa la si deve addossare a chi continua a mandare armi all’Ucraina.
A far loro da scorta, ecco il Pd, ambiguo come è suo solito. Elly Schlein un giorno dice una cosa, l’altro se la rimangia e nel suo partito che dovrebbe controllare (ci riesce a fatica) le correnti sono tante e ognuno ha una idea diversa.
Che fare a questo punto? Draghi insiste in un discorso molto apprezzato da una parte delle forze politiche: “Rimarremo soli, se non ci affrettiamo a porre una proposta che abbia qualche consenso”.
Giorgia Meloni è preoccupata perl’antiamericanismo di alcuni Stati e forse dello stesso Macron il quale anche in questo caso ha provato a tornare in auge organizzando un incontro che a detta di molti è stato un fallimento. La nostra premier predica prudenza e ricorda a quanti lo avessero dimenticato che “noi dobbiamo molto agli Stati Uniti”.
Comunque, anche lei finisce nell’occhio del ciclone perché gli avversari l’accusano di essere troppo prona verso Trump e il fidatissimo Musk. Coloro che le puntano il dito contro sostengono: “Finiremo con l’essere né con Donald, né con gli altri”. Insomma, soli, isolati, come qualcuno credette che saremmo finiti dopo che l’Italia si pronunciò senza se e senza ma in favore della destra.
Non ci resta che pensare ai fatti nostri? Anche a quelli, ci mancherebbe, perché gatte da pelare ce ne sono tante soprattutto per l’intransigenza dell’opposizione che sa dire solo no a qualsiasi iniziativa.
Il primo dei problemi che il governo deve affrontare è sempre quello della separazione delle carriere per una giustizia equanime.
Apriti cielo: è tutto in alto mare. I magistrati sono in fermento, hanno indetto uno sciopero nazionale alla fine del mese. Qualcuno paventa un flop e si parla di una iniziativa che ci auguriamo sia solo un malvagio pettegolezzo. Una lista di chi partecipa e di chi invece non ne vuol sapere di incrociare le braccia. Di modo che alla fine si sappia chi sono i buoni e chi i cattivi. Possiamo solo sperare che questa sia una fake news, altrimenti…