Se per parlare del Pd dovessimo fare un paragone calcistico dovremmo scrivere: Schlein batte Bonaccini due a zero. Ma a volte anche le vittorie nascondono che una crisi è ancora in atto o per lo meno non ha risolto tutti i problemi che l’affliggono.
Elly, per il momento, ha vinto il suo primo derby. Testarda e ostinata ha voluto, anzi preteso, che i due suoi candidati come capigruppo alla Camera e al Senato fossero loro e soltanto loro: Francesco Boccia e Chiara Braga. Ora mentre il primo è un vecchio marpione della politica (è stato anche ministro per gli affari regionali con Giuseppe Conte premier) la seconda non ha e non ha avuto molta visibilità politica pur essendo stata membro della segreteria con Renzi, Zingaretti e Letta.
Ma la visibilità non ha contorni precisi. Dipende molto dal comportamento e dalla furbizia del protagonista. Tutto
ciò non significa che la nuova capogruppo del Pd alla Camera sia una sprovveduta. Se la Schlein l’ha voluta ad ogni costo vuol dire che la numero uno dei dem crede ciecamente in lei.
Ma la vittoria di Elly, nella battaglia dei primi della classe a Montecitorio e a Palazzo Madama, vuol dire che ha superato tutti i problemi del partito e che ora non avrà più bastoni fra le ruote nel suo cammino politico? Purtroppo per lei (e soprattutto per i piddini) non è così.
Innanzitutto, non è stato facile portare a termine lo scontro con la minoranza. Il braccio di ferro rischiava di lasciare sul campo morti e feriti. Dice ad esempio Lorenzo Guerini: “Non limitiamoci a battaglie identitarie. In questa scelta ci sono state forzature politiche”. Non è poco, se si pensa che l’ex ministro della difesa è un uomo che conta molto nel partito. “Comunque sia” continua, “non abbiamo voluto esacerbare gli animi e spaccare il partito per cui abbiamo votato sì”.
Eccola dunque la verità su quanto è avvenuto di recente nella battaglia condotta dalla Schlein, “Obtorto collo” la minoranza non si è schierata contro, ma ha fatto intendere che avrà sempre voce in capitolo nel futuro. Non è stato solo Guerini a storcere la bocca, sia pure se alla fine ha ceduto.
Ancora più drastico è stato Andrea Marcucci che anni fa ha avuto lo stesso ruolo seduto di Chiara Braga: “Il partito è morto. La Schlein pensa solo ad occupare poltrone”. Niente male per un Pd che dice di aver sconfitto le correnti.
C’è poi chi non ha potuto nascondere ciò che provava dentro: è Debora Serracchiani che probabilmente da oggi in poi non sarà così assidua nei talk show televisivi perché in pochi si ricorderanno di lei. Nelle ultime settimane, non aveva dimenticato di mostrarsi e di essere accanto a Elly durante i suoi interventi alla Camera, ma nonostante ciò ha dovuto soccombere e si è sciolta in un pianto liberatorio.
Perché non doveva più combattere ogni giorno con gli avversari del suo stesso partito (il fuoco amico, per intenderci) o perché abbandonare quello scranno voleva dire addio ai sogni di gloria?
La Schelin lo sa, ma non arretra nemmeno di un metro, proprio come ha fatto nella sua prima vera battaglia che ha rischiato di dividere per sempre il partito. Adesso, tutto si svolgerà sotterraneamente, “underground”, direbbero gli inglesi. Con le battute e gli schiaffi nascosti di cui nessuno vorrà assumersi la paternità.
Però le prime avvisaglie ironiche cominciano a circolare nei corridoi del Parlamento. Una sopratutto è la più conclamata. Non si sa chi sia il padrino o la madrina, ma è certamente della minoranza. Pensate – dice l’indiscrezione – che quel deputato o senatore pensava che il Donbass fosse un prete che non fosse cresciuto. Basso, appunto.