Donald Trump ha vinto le elezioni e si appresta a diventare nuovamente presidente degli Stati Uniti. Anche se i conteggi ufficiali non sono ancora conclusi, il trend è chiaro: il cosiddetto “blue wall”, ossia l’insieme di Stati solitamente solidi per il Partito Democratico, è crollato, proprio come avvenne otto anni fa contro Hillary Clinton. Questo ritorno di Trump alla Casa Bianca rappresenta un colpo non solo per Kamala Harris, ma per il movimento democratico progressista che sperava di consolidare l’alleanza che aveva portato Joe Biden alla vittoria nel 2020.
La vittoria di Trump, che sembra avere anche la maggioranza al Senato, dimostra come il magnate newyorkese abbia saputo riconquistare una parte importante dell’elettorato che, per anni, aveva resistito alle sue posizioni e alla sua visione politica. Kamala Harris, nonostante la sua visione di inclusione e progresso, non è riuscita a mantenere coesa la coalizione che aveva spinto Biden verso la vittoria. In particolare, i timori per l’inflazione e i rincari post-pandemici sembrano aver inciso sulle scelte degli elettori, preoccupati più dai costi crescenti della vita quotidiana che dalla disoccupazione ormai quasi azzerata.
Il “blue wall”, termine usato per descrivere il blocco di Stati del Midwest e della costa occidentale che tradizionalmente sostengono il Partito Democratico, è stato la chiave della sconfitta di Harris. In questi Stati, dove l’elettorato si era dimostrato sensibile alle tematiche sociali e ambientali, Harris non è riuscita a mantenere saldo il consenso. Gli elettori di queste aree, un tempo avamposto democratico, hanno mostrato preoccupazioni per la situazione economica, influenzati dall’aumento del costo della vita che ha caratterizzato gli ultimi anni.
Evidentemente Trump ha saputo presentarsi come l’opzione che prometteva stabilità e attenzione alla classe media americana. Harris, nonostante la promessa di politiche inclusive e programmi per la giustizia sociale, non ha potuto convincere abbastanza elettori in questi Stati cruciali, perdendo in aree dove il sostegno democratico era stato un pilastro in precedenza.
Una delle principali motivazioni che sembrano aver influenzato l’elettorato americano è stata l’inflazione, che ha impattato fortemente su settori chiave della vita quotidiana. L’aumento dei prezzi ha destabilizzato una parte della popolazione che, pur consapevole dei risultati positivi in termini di disoccupazione e crescita economica complessiva, ha dovuto affrontare le sfide dell’economia domestica, dallo shopping quotidiano all’aumento dei costi energetici. Nonostante gli analisti abbiano sostenuto la ripresa economica, evidenziando i livelli minimi di disoccupazione, è evidente che l’elettorato americano ha percepito in modo diverso la situazione, concentrandosi sui costi diretti che incidono sulle loro finanze.
Trump ha colto l’opportunità per posizionarsi come l’opzione forte, criticando le politiche economiche adottate negli ultimi anni e puntando a rassicurare gli elettori con un messaggio che prometteva un ritorno alla “normalità”. Kamala Harris, d’altra parte, ha avuto difficoltà a ribaltare questa narrativa, trovandosi a difendere una posizione economica che, pur statisticamente solida, ha lasciato molti elettori insoddisfatti.
Il fallimento di Kamala Harris di fronte a Trump apre un nuovo capitolo nella storia delle candidate donne in politica negli Stati Uniti, evidenziando un ostacolo che aveva già coinvolto Hillary Clinton nel 2016. Questa difficoltà a imporsi contro Trump da parte di figure femminili mette in luce alcuni temi culturali e sociali che sembrano ancora influenzare profondamente l’elettorato. Le candidate donne devono spesso affrontare critiche che spaziano dalla personalità percepita come “fredda” o “troppo ambiziosa” a pregiudizi radicati su genere e autorità.
Trump ha costruito la propria immagine pubblica su caratteristiche che vanno dalla forte retorica alla capacità di dominare il discorso mediatico, con un tono che risulta spesso polarizzante ma che riesce ad attrarre l’elettorato. Le sue avversarie donne, come Harris e Clinton, si sono trovate in una posizione complessa, costrette a bilanciare l’autorità necessaria per il ruolo con le aspettative e i pregiudizi di genere che persistono nel panorama politico americano.
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca, inoltre, ha riacceso il dibattito sull’importanza delle dinamiche di genere in politica e sull’effetto che il pregiudizio ancora presente ha sulla capacità delle donne di accedere ai ruoli di massimo potere. Sebbene negli ultimi anni le donne abbiano ottenuto importanti successi in ambito politico, la presidenza e la vice-presidenza degli Stati Uniti continuano a rappresentare posizioni in cui gli elettori sembrano preferire candidati uomini. In una società ancora influenzata da aspettative di genere, il successo di una donna contro un candidato come Trump rimane una sfida complessa e non sempre superabile.
La percezione di genere, infatti, gioca un ruolo determinante in queste competizioni. Molti elettori, anche inconsciamente, associano tratti di leadership come l’aggressività, la fermezza e l’autorità a figure maschili. Quando queste caratteristiche vengono mostrate da una donna, la reazione pubblica può essere ambigua o addirittura negativa. Clinton ha dovuto affrontare critiche legate al suo “tono troppo duro” e alla “freddezza,” mentre Harris ha dovuto bilanciare una percezione di assertività senza risultare eccessivamente diretta. Questa doppia pressione, che non viene generalmente applicata ai candidati uomini, rende particolarmente difficile per le donne stabilire un equilibrio tra autorità e approccio conciliante.
Uno studio condotto dal team di ricerca dell’Università di Harvard ha evidenziato come i media tendano a coprire le candidate donne in maniera diversa rispetto ai loro avversari maschili. Quando una donna compete con un candidato come Trump, i media spesso concentrano l’attenzione su elementi accessori come l’aspetto fisico, il tono della voce e persino il linguaggio del corpo. Questo tipo di copertura tende a distogliere l’attenzione dai contenuti politici, dando spazio a una narrazione che può influire sulla percezione degli elettori in modo negativo. Nel caso di Clinton, i commenti sulla sua “personalità fredda” e la mancanza di “calore” sono stati amplificati, minando la sua immagine di leader preparata e competente.
Durante entrambe le campagne elettorali, Trump ha dimostrato una grande capacità di controllare la narrazione, anche attraverso i social media, dove ha costruito una base di sostenitori fedeli e attivi. L’uso massiccio dei social ha contribuito a diffondere messaggi spesso polarizzanti, accentuando la sua presenza e rafforzando la sua immagine di leader forte e senza compromessi. Questo ha messo Harris e i Democratici in una posizione di svantaggio, poiché ogni tentativo di ribaltare la narrativa veniva contrastato da una base ormai abituata al linguaggio diretto e aggressivo di Trump.
La diffusione delle fake news, amplificate dai social media, ha ulteriormente penalizzato Harris, portando alcuni elettori a mettere in dubbio la sua credibilità e a influenzare la percezione pubblica. La campagna di Harris si è trovata spesso costretta a smentire accuse infondate o a rispondere a notizie che mettevano in discussione la sua competenza e integrità. Questo fenomeno, già vissuto da Hillary Clinton nel 2016, evidenzia come la disinformazione possa creare un ambiente ostile per le candidate donne, accentuando le difficoltà e contribuendo a creare una narrazione sfavorevole.
La vittoria di Trump non si limita a questioni economiche o di percezione pubblica; riflette anche una tendenza alla polarizzazione e alla politica identitaria che ha caratterizzato gli Stati Uniti negli ultimi anni. Trump ha saputo attrarre una parte consistente dell’elettorato maschile e bianco, presentandosi come difensore della “vera America”, un messaggio che trova consenso in una base che percepisce i cambiamenti sociali e culturali come una minaccia alla propria identità. La candidatura di Harris, che rappresenta il cambiamento e l’inclusività, ha inevitabilmente incontrato difficoltà a conquistare una parte di elettorato che si è dimostrata resistente a questa prospettiva.
Con il ritorno di Trump alla presidenza, gli Stati Uniti si trovano ora a fronteggiare una nuova fase politica che potrebbe segnare una regressione sui temi di inclusività e progresso. L’amministrazione Biden aveva tentato di promuovere politiche orientate alla giustizia sociale e all’inclusione, ma il voto di quest’anno sembra suggerire che una parte consistente dell’elettorato americano preferisca un ritorno alla retorica di Trump. Questo risultato potrebbe incidere profondamente sulle politiche dei prossimi anni e sul futuro del Partito Democratico.