La libertà di informazione e manifestazione del pensiero come garantito dall’art. 21 della Costituzione è al centro dell’intervento di Norma Rangeri su Micromega. La giornalista che è stata per molti anni direttore del Manifesto, attualizza ai giorni nostri un tema che è di oltre due secoli fa (il primo emendamento alla costituzione americana fu scolpito nella storia nel 1791) ma che entro nella costituzione italiana solo nel 1948.
Allora però la diffusione di notizie e idee era affidata a comizi, giornali e radio monopolio di Stato. Non c’era la tv, meno che mai internet. Oggi tutto è cambiato e forse siamo solo all’inizio di una nuova trasformazione.
Dell’articolo di Rangeri Micromega ha diffuso solo una parte, sufficiente a farsene un’idea.
Che l’informazione sia l’infrastruttura. di una sana democrazia, e che senza un vero pluralismo di voci – muro maestro di un’opinione pubblica consapevole – non c’è libertà, lo avevano ben compreso i nostri padri e le nostre madri costituenti quando scrissero l’articolo 21 che tutti conosciamo: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con le parole, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni e censure».
Soffermiamoci un attimo. L’articolo 21 dice «Tutti», cioè si tratta, come spiega la cultura costituzionale, di un riconoscimento generale e collettivo senza distinzioni o discriminazioni, a prescindere della cittadinanza. Poi specifica: «di manifestare liberamente il proprio pensiero». Significa riconoscere sia la libertà di esprimere le proprie opinioni, sia quella di non manifestarne alcuna (cioè il diritto al silenzio), chiaro riferimento al ventennio mussoliniano che obbligava al Signorsì.
Per capire qual è lo stato di salute della libertà d’informazione nel mondo, penso sia indicativo citare due storie, due nomi assai eloquenti sul nesso tra democrazia e informazione: Julian Assange e Anna Politkovskaja.
I due casi, scrive Rangeri, sono indice di come all’Ovest e all’Est, nelle democrazie e nelle autocrazie, il cosiddetto Quarto potere, il potere al servizio non di chi governa ma di chi è governato, è e resta il bersaglio di un altro potere, quello politico, che imprigiona e uccide i giornalisti.
Ma il Quarto potere è bersaglio non solo del potere politico. Lo è altrettanto del potere economico. Tanto più nell’attuale fase di passaggio tra i grandi gruppi industriali dell’editoria e i giganti del web.
Poi cita il caso del “glorioso quotidiano americano” Washington Post, alla morte della sua grande editrice Katharine Graham, passato nelle mani di Jeff Bezos, cioè al servizio degli interessi di Amazon. Questo sarebbe da dimostrare. Durante la presidenza Trump il giornale di Bezos è stato il suo più feroce avversario. E si deve ricordare che il WP e finito a Bezos perché glielo hanno venduto, per 250 milioni di dollari,felici di incassare e reinvestire, secondo i consigli di Warren Buffet, i figli della stessa mitica Graham.
Quel che è vero, fuori di retorica, e che “per Amazon, Google, Facebook, i cosiddetti Over The Top (Ott), l’informazione si inchina e obbedisce all’algoritmo. È una macchina bulimica, capace di mangiarsi la fetta più grossa della pubblicità, di influenzare milioni di utenti, di veicolare una massa nebulosa di informazione mista a intrattenimento e dunque di rendere sempre più difficile distinguere il falso dal vero”.
Con l’aggiunta che in Europa, essendo basati in quel paradiso fiscale che è l’Irlanda, quasi non pagano tasse, i cui proventi sarebbero manna per i poveri editori e giornalisti.
Per contrastare la forza dirompente degli Ott, sia l’Antitrust statunitense sia le istituzioni europee (Commissione e parlamento) lavorano a contromisure, allo scopo di vigilare su questa catena di montaggio mondiale, con nuove leggi e controlli.
Dunque siamo tutti immersi in una nebulosa fatta di tante notizie e nessuna informazione. E proprio la moltiplicazione di questo apparente sapere è l’acqua torbida in cui nuota il pesce di ogni propaganda populista. Del resto, se uno vale uno e una notizia vale l’altra, e se non c’è bisogno della mediazione giornalistica tanto c’è la Rete, siamo sicuri – e possiamo ben vederlo – che ad avanzare sarà il nemico numero uno di ogni democrazia: l’ignoranza, la madre di tutti i mali.
Qui si ferma Paolo Flores d’Arcais. Così stabilisce.
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