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A Genova elezioni ad alta tensione: il Terzo Valico fermato dal grisù dell’Appennino nell’ultima galleria

A Genova elezioni ad alta tensione: il Terzo Valico fermato dal grisù dell’Appennino nell’ultima galleria.

Colpo su colpo la sfida ligure tra Andrea Orlando, sinistra-sinistra, ex ministro e gestore di un campo largo sempre più stretto e Marco Bucci, apartitico, ma di Destra-destra, sindaco in carica, eroe del Morandi ricostruito e candidato malgrado la sua conclamata malattia, si gioca anche con le grandi opere.

Quelli del “no”, cioè la sinistra, non le ha fatte e ora non vuole concludere quelle fatte partire dalla innominabile triade Toti-Signorini-Bucci, sostiene il sindaco-candidato.

Quelli del si hanno sfruttato le decisioni e gli investimenti varati quando governava il centro sinistra e ora non sono in grado di concluderle- ribatte l’ex ministro- candidato.

Il Terzo Valico per unire di più Genova a Milano

A Genova elezioni ad alta tensione: il Terzo Valico fermato dal grisù dell’Appennino nell’ultima galleria  – Blitzquotidiano.it (foto dell’autore)

La “madre” di tutte le Grandi Opere in Liguria, ma non solo, è il Terzo Valico, lanciato nel 1988 per riunire sui binari Genova a Milano e liberare dai container il porto di Genova. È un progetto discusso per anni, finanziato in tanti modi e infine con il Pnrr e incominciato a costruire nel 2012.

Ora è bloccato nel suo punto cruciale, il breve tratto che, perforato, farebbe esultare perché il resto, quasi il 90 per cento del maxitunnel, è scavato.

Un chilometro e mezzo, non un metro di più. Nella pancia della Val Lemme, alle spalle di Voltaggio, tra Liguria e Piemonte , dove si incontrano le Alpi e gli Appennini, creando uno sconquasso geologico che ha frenato, insieme al gas, i lavori del Terzo Valico.

Ecco che così questa opera fondamentale per togliere Genova e la Liguria dall’isolamento e dal rallentamento ferroviario, giunta a un passo dal traguardo, rischia un imprevisto ritardo.

L’ennesimo, ma questa volta giustificato da situazioni impreviste, anche se non rare nella pancia degli Appennini.

Il gas grisou, metano più altri ingredienti pericolosi, non ha una entità precisa: potrebbe essere una bolla o un giacimento.

Potrebbe essere “antico” e quindi depositato da tempo e allora trattabile o no e quindi pericolosissimo.

Gli esperti del Terzo Valico, che ne hanno affrontate di tutti i colori nello scavo della galleria più lunga in Italia, nel cantiere più grande che ci sia, 37 chilometri di scavo su 13 fronti dei quali solo 2 fermati per questa emergenza, vivono una attesa tesissima.

La soluzione potrebbe arrivare da sola, con la scoperta che quel gas si è esaurito e i sensori rassicurano che la bolla si è “spenta” da sola.

Oppure la soluzione diventerebbe molto complicata e implicherebbe la costruzione di un “camino” per estrarre il gas dalle sue profondità, scavando un tunnel in verticale per 400 metri e poi in orizzontale per altri quaranta metri, sotto la sede dei binari, per liberare la “bomba” e bruciarla all’esterno.

Ipotesi complicatissima per i costi, per i permessi, per i tempi che slitterebbero a chissà quando. La fine dei lavori, prevista per il 2026, data scandita dei tempi del PNRR, rimane così pericolosamente in bilico.

Quel chilometro e mezzo ha già fatto penare molto più del prevedibile, prima con le frese, le due grandi talpe, lunghe 300 metri, che scavano e nel frattempo costruiscono “lo scafo” della galleria. Bloccate dalla conformazione del terreno, che nessuna indagine preventiva poteva svelare.

I due giganti, che dovevano dare la botta finale allo storico scavo sono state smontate pezzo per pezzo e si è proseguito con i mezzi tradizionali, fino alla scoperta del gas.

Nessun tipo di ventilazione, subito sparata dentro a quei due chilometri di tunnel della val Lemme, è stata sufficiente a garantire la sicurezza.

Il gas poteva esplodere in qualsiasi momento per la sua conformazione chimica e quindi la misura subito adottata è stata quella di non fare assolutamente entrare la squadra di 15 uomini che opera generalmente in quel tratto fatidico della galleria. E lo stop dura da oltre due mesi. Tempo vitale per concludere.

Lì siamo due chilometri nella pancia della montagna e per scappare a piedi dal gas assassino ci vogliono almeno 4 minuti, un tempo non sufficiente a garantire la sicurezza.

Che fare in una situazione di tale imprevista emergenza.?

Sono incominciate subito le consultazioni con gli esperti, anche quelli dell’Università della Sapienza di Roma e con la Saipem, esperta nell’estrazione di prodotti petrochimici, esperta di gas.

La sentenza degli esperti è stata subito quella di cercare di capire se il gas era un giacimento o una bolla e quindi di esaminare anche l’ipotesi addirittura di uno sfruttamento. Che è stata subito scartata, anche perché nella sua composizione chimica c’era troppo zolfo.

Gli esperti hanno anche stabilito che era impossibile capire, senza rischiare vite umane, se si trattava di una di quelle sacche spesso incontrate negli scavi sugli Appennini o di un vero giacimento.

Non solo: anche l’indagine sull’ ”età” del giacimento fin’ora non ha dato risposte certe. E’ allora che di fronte a un’opera immensa in costruzione dal 2012, a una passo dalla conclusione, con un tracciato che non si può certo modificare, non c’ è stata che la soluzione del “camino”, nella speranza del miracolo di una auto estinzione.

Nel frattempo il 90 per cento dello scavo è stato realizzato, malgrado l’incidente delle rocce “spingenti”, che avevano messo in crisi le frese-talpe, spaccando centine di acciaio del 300 per cento, capaci di sopportare fino a 15 tonnellate di peso e mai messe in crisi.

Erano le forti compressioni geologiche a pesare sui grandi mezzi in azione oramai da anni dentro all’Appennino.

Se quel chilometro e mezzo finalmente si riuscisse a completare, facendo cadere l’ultimo diaframma, in sei mesi le imprese costruttrici, che fanno capo a Webuild, ex Impregilo Salini, a sua volta main contractor, la grande azienda che ha avuto dal Cociv l’incarico di realizzare l’opera, riuscirebbero a posare i binari nei 37 chilometri di percorso della supergalleria.

Poi ci sarebbe il tempo di perfezionare l’opera, arrivando a Genova per una prima fase, con una sola canna, cui seguirà la seconda, in un tempo successivo di qualche mese.

I tecnici fanno notare che la presenza del gas metano non è affatto inusuale, non solo negli Appennini, ma anche nel sottosuolo della Pianura Padana, dove ci sono stratificazioni che hanno la stessa origine geologica.

Non è un caso che Enrico Mattei, uno dei grandi italiani del Dopoguerra, che fondò l’Eni e fece entrare l’Italia nel mondo petrolifero, sfidando le famose “Sette Sorelle”, cercava il gas metano (e lo trovava) nel sottosuolo padano.

Attualmente al Terzo Valico, di gran lunga il più grande cantiere italiano, lavorano più di 5 mila uomini su 13 fronti di scavo, oramai giunti all’88 per cento del lavoro.

Dopo il Brennero, un tunnel di 56 chilometri e quello della Manica di 50 chilometri, questo sarà il più lungo d’Europa. Con una difficoltà che gli esperti definiscono “il caotico dell’Appennino” per riassumere lo stato geologico della montagna interessata all’Opera.

“Non siamo mai stati fermi” rassicurano a Blitzquotidiano nel quartiere generale dell’opera, nel cuore della Valpolcevera, dove si scandisce il conto alla rovescia con spasmodica speranza che il gas maledetto sparisca da solo.

Di chi è merito di avere realizzato il Terzo Valico, una volta che sarà, comunque, terminato, avvicinando almeno per ferrovia Genova a Milano?

Rixi il ministro leghista delle Infrastrutture sostiene che senza i finanziamenti procurati dalla sua parte l’opera era ancora impantanata.

Orlando rivendica alla sinistra tutta l’impostazione del progetto e i finanziamenti di partenza e quelli successivi con la decisione e il rispetto di parcelizzare con i lotti costitutivi il finanziamento, che ora supera complessivamente i 7 miliardi di euro.

In realtà il merito non è di nessuna delle forze politiche che ora si contendono le Grandi Opere in questa campagna elettorale, breve e bruciante, piena di insulti.

L’opera nei decenni precedenti è stata inaugurata più volte dal centro destra e dal centro sinistra, che si volevano mettere il capello in testa. Poi si è regolarmente fermata per responsabilità alterne.

Ora ci pensa il gas metano pericoloso e il finale è solo in mano agli uomini che stanno lavorando in mezzo a quella montagna “maledetta”, piena di insidie e di rischi, incalcolabili alla vigilia né dagli uni né dagli altri. Mentre fuori la campagna elettorale sfavilla di rivendicazioni.

Franco Manzitti

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