Ma quali cattolici in politica, trenta anni dopo la fine della grande mamma Dc, settanta dopo che Alcide De Gasperi non era stato ricevuto in Vaticano perché si opponeva all’ingresso di missini e monarchici nella maggioranza di Governo, venticinque dopo che il cardinale Camillo Ruini “governava”, attraverso la Cei nella politica italiana, occhieggiando il Cavaliere Berlusconi, sessanta anni dopo le profonde ingerenze della Chiesa nelle durissime battaglia politiche per aborto e divorzio, ecco che sta di nuovo cambiando qualcosa.
L’idea fasulla e fallita decine di volte di una nuova formazione cattolica influente sulla mutevolissima politica italiana è oramai tramontata, mentre sfilano ancora i ricordi e la memoria concreta delle tante “ingerenze” o “pressioni” o “interventi diretti” del Vaticano in tempi nei quali la battuta ricorrente nei corridoi della politica romana era sempre la stessa o erano le stesse.
Tipo: “Il Tevere è sempre più stretto” oppure: “ Tanto le decisioni vengono prese dall’altra parte del Tevere”. Come prova della potente influenza vaticana.
Troppo diversa la politica della Seconda e anche della Terza Repubblica per contenere partiti, movimenti o anche solo correnti targate CV, Città del Vaticano, anche se i cattolici o sedicenti tali nei partiti e movimenti di oggi, mutevoli mutanti come sono, pullulano pure e anche si differenziano profondamente nelle loro scelte di appartenenza.
E allora cosa succede se proprio in questi ultimi mesi due fatti importanti si verificano, quando il Papa Francesco regna oramai da 11 anni, dopo avere subito detto al momento del suo insediamento ai vescovi riuniti nell’assemblea della Cei, con il suo stile “duretto”: “La politica la lascio a voi”, alludendo a quel consesso, riunito oggi sotto la guida del suo fedele vero numero uno, il cardinale Matteo Zuppi, presidente dopo il cardinale Bassetti e dopo il genovese Angelo Bagnasco, al quale era rivolto allora quel primo invito.
Il primo fatto che segna una nuova presenza cattolica è la levata di scudi anche molto dura dei vescovi sulla autonomia differenziata, la legge a lungo voluta dalla Lega, alla fine imposta e che ha un po’ incendiata la politica italiana e soprattutto il Sud contro il Nord.
Ebbene qui i vescovi sono insorti insieme e con una Nota durissima: “Il progetto di legge dell’autonomia differenziata – hanno scritto – rischia di minare le basi di quel vincolo di solidarietà tra le diverse Regioni, che è presidio al principio di unità della Repubblica. Tale rischio non può essere sottovalutato, in particolare alla luce delle diseguaglianze già esistenti, specialmente nel campo della tutela della salute, cui è dedicata grande parte delle risorse spettanti alle regioni.”
Non una semplice reazione, ma uno squillo vero dei vescovi italiani che ha fatto reagire la premier Giorgio Meloni con la battuta: “Il Vaticano non è una Repubblica parlamentare. “
Zuppi aveva controreplicato in privato: “Che c’entra il Vaticano?”.
Già prima dello squillo la posizione dei vescovi aveva preso corpo in modo continuo e persistente sumolti temi, come se si fosse squarciato un velo improvvisamente. Non più semplici notarelle dopo qualche fatto sgradito da parte di vescovi che magari commentavano a cose fatte. Ma interventi secchi anche in piazza, anche dal pulpito, senza nessuna diplomazia, anche a costo di vedere compromessi i rapporti con il governo e con lei, Giorgia Meloni, non sgradita a Francesco, ma assai meno ai suoi vescovi più influenti della Cei.
Secondo fatto: in questo clima è arrivata prima dell’estate la “settimana sociale di Trieste”, intitolata “Al cuore della democrazia” e organizzata dalla Cei con grande attenzione mediatica. Qui altro che primo squillo!
Riferimenti basilari della discussione a Trieste sono stati personaggi come Giorgio La Pira, don Lorenzo Milani e perfino Giuseppe Dossetti, citato da Sergio Mattarella, ben compaciuto di partecipare con il suo intervento alla perfomance dei vescovi.
Ispirati certo più a quelle figure storiche, a cavallo tra il Concilio Vaticano II e il pontificato di Paolo VI, che alla impostazione ruiniana, orientata sempre sulla destra.
Non a caso gli osservatori di destra avevano battezzato quell’incontro triestino come una vero e proprio patto di alleanza con il PD, quasiuna vera festa dem.
Altro che il corso, appunto, scelto da Camillo Ruini, potentissimo presidente Cei, colui che rese sì il Tevere più stretto in direzione di Palazzo Chigi, dove sedeva il Cavaliere Silvio Berlusconi.
Qui nella ridente e un po’ mitteleuropea Trieste si è manifestata una direzione di rotta secca. Per esempio sulla politica italiana di stampo melonian-salviniano verso i migranti con l’affossamento _ per esempio_ dell’esperimento Albania, giudicato dal vescovo di Ferrara Giancarlo Perego : “Una nuova sconfitta della democrazia e ancor di più “ uno spreco di risorse pubbliche.”
La conferma dell’inversione sul tema è arrivata subito: una serie di dichiarazioni di fuoco di Matteo Salvini contro la politica migratoria dei vescovi.
A un certo punto le dichiarazioni dei vescovi sono diventate tanto pungenti sul governo di centro destra che , temendo un accerchiamento e toni più da capi partiti che da rappresentanti delle Chiesa, gli uomini più acuti del governo hanno protestato in modo tanto violento da parlare apertamente di “complotto”.
Ma non è neppure vero che la posizione della Chiesa italiana sia unanime con il corso triestino.
Ci sono molte voci dissenzienti, a incominciare da taluni vescovi, come per esempio il perseverante vescovo di Ventimiglia, monsignor Antonio Suetta, sempre duro nelle sue posizioni verso il “modernismo” di Zuppi.
C’è infine da domandarsi se si sia creata una vera e propria posizione, cresciuta nel tessuto sociale, che diventa protagonista nelle battaglie locali per la scelta dei nuovi amministratori pubblici.
Come per esempio in Umbria per Stefania Proietti, sindaca di Assisi, ipercattolica, candidata alla presidenza nelle prossime elezioni.
Qualche anno fa Proietti si definì: “Cristiana, mamma e catechista, attenta alla cura del creato.” E promise che questi principi sarebbero entrati nel suo programma in un progetto civico, libero da ideologie. Ispirato alla dottrina sociale della Chiesa, in sinergia alle famiglia francescane della diocesi, dove al centro ci sono sempre i più fragili-. “
Con quelle parole anche dure si esternava un programma politico, che poi, appena eletta, Stefania Proietti mise in atto.
Parole, però, anche rischiose per i sostenitori della laicità, che si ripetono oggi nella corsa verso la presidenza.
Cosa vuol dire questo singolo esempio? Che anche se il laicato cattolico si è ridotto molto nella società secolarizzata, se le parrocchie non sono più quelle di una volta, un certo attivismo cattolico resiste eccome ed è radicato e trova sponde spesso forti e utili come Sant’Egidio , la Charitas ed altre organizzazioni di volontariato.
Ricorda Matteo Matzuzzi, uno dei più attenti osservatori del mondo cattolico, e non solo, su “Il Foglio” che non a caso i banchetti per la raccolta di firme contro la legge sull’ Autonomia differenziata sono stati organizzati sui sagrati delle chiese.
Intanto mentre questo possibile “partito di Dio” si manifesta in forme nuove, il papa Francesco, che aveva delegato queste partite ai suoi vescovi italiani, gira il mondo e si dedica a una visione nella quale l’Italia, la sua Chiesa, il suo mondo romano-centrico sembrano sempre più piccoli.
A Timor Est, alla messa del Papa, dall’altra parte del mondo, hanno partecipato più di seicentomila persone su un milione di abitanti,nel lembo estremo dell’Asia, il più cattolico, dove la spinta verso la Chiesa di Roma è fortissima.
Il successo del recente e lunghissimo viaggio di Francesco in Asia è stato enorme ovunque, come a sottolineare un incredibile avanzata del cattolicesimo in quelle terre, che pure un Papa lo avevano visto nel 1989 nel viaggio di Woytila.
Oggi la fede forte, senza divisioni, senza aggiornamenti, senza dibattiti, senza Sinodi divisivi, senza scismi minacciati, si vive laggiù. Mentre a Occidente la secolarizzazione è come un tarlo che divora la Chiesa, a Timor basta una croce, una benedizione a trascinare folle che qui non esistono più.
E non a caso tornato a Roma e dopo pochi giorni il papa riparte, smaltita una lieve influenza, e va nel cuore dell’Occidente in ritirata, forse nel paese che più vive il processo all ‘’’incontrario” del cattolicesimo: il Belgio, verso il cattolicesimo problematico, in declino e consapevole di grandi questioni aperte, come gli abusi sessuali del clero sui minori, la sotto rappresentazione delle donne nelle posizioni di responsabilità, la fatica a farsi sentire dalle giovani generazioni.
Francesco andrà non a visitare la sede dell’UE, ma a celebrare il seicentesimo anniversario della Khatolichie Universiteite Leuven, Ateneo cattolico di orientamento riformista, una delle fucine intellettuali del Concilio Vaticano II e più tardi della “Teologia della Liberazione”. Siamo agli antipodi di Timor Est e più vicino a quel partito di Dio che manda segnali in Italia. Per chi li coglie nella baraonda politica italiana.
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