Chi è Clio Bittoni, la moglie di Giorgio Napolitano

Giorgio Napolitano e la moglie Clio Bittoni sono stati una coppia inossidabile. Nata il 10 novembre 1934 a Chiaravalle (Ancona), da genitori confinati politici durante il regime fascista, l’ex first lady, 89 anni, avvocata del lavoro, ha sposato quello che sarebbe diventato l’11esimo Presidente della Repubblica italiana, spentosi oggi a Roma, nel 1959 in Campidoglio. Insieme hanno avuto due figli, Giovanni, nato nel 1961, e Giulio, del 1969. Poi sono arrivati i due nipoti: Sofia (nata nel 1997) e Simone (nato nel 1999), figli di Giovanni e di Darlene Tymo.

Clio Bittoni ha frequentato il liceo classico a Jesi e si è laureata in giurisprudenza presso l’Università di Napoli nel 1958. Ha esercitato la professione di avvocato prima a Roma e poi a Napoli, occupandosi soprattutto di diritto del lavoro e dell’applicazione della legge sull’equo canone in agricoltura.

L’incontro con Napolitano è avvenuto nel 1959 a Napoli. Sono convolati a nozze nella Capitale nello stesso anno. Successivamente lei ha svolto la sua attività professionale presso l’Ufficio legislativo della Lega delle Cooperative. Per scrupolo di correttezza, ha lasciato l’incarico dopo la nomina del marito a Presidente della Camera.

“Non avrei mai potuto sposare un uomo che, in linea generale, non la pensasse come me”, aveva raccontato a Paola Severini per il libro “Le mogli della Repubblica”. “Non ho mai dovuto combattere per tenermelo, e dove andava? Non ho mai pensato che la nostra fosse una unione destinata a non durare, abbiamo sempre avuto una vita familiare molto intima, ad esempio abbiamo sempre lavorato nella stessa stanza, a lui non dà noia se, mentre sta scrivendo, io parlo al telefono con qualcuno”. 

Sull’inizio della sua conoscenza con il presidente emerito, aveva svelato: “Vivevo con un’amica in una stanza in affitto in un appartamento privato, mangiavamo solo cibo di rosticceria, m’erano venute le macchie di fegato sul collo. Quando Napolitano cominciò a invitarmi a cena, a casa mia dissero che m’aveva preso per fame”.

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Silvia Di Pasquale