Chi sono i due italo-israeliani dispersi in Israele. I loro nomi sono Eviatar Moshe Kipnis e Liliach Lea Havron e sono marito e moglie. Yotam ha 29 anni ed è il primo dei due figli. Il giovane, ai microfoni della Rai ha lanciato un appello al Governo perché tratti per la loro liberazione. “L’ultima cosa che ricordo di mia madre è la sua voce preoccupata al telefono, poi all’improvviso il suono degli spari che rompono i vetri, rumori duri e sconosciuti che entrano nella nostra casa, la telefonata che s’interrompe “.
Dei due coniugi non si hanno più notizie da sabato. “Dobbiamo la cittadinanza italiana al mio bis nonno materno, che era il Medico del re Vittorio Emanuele III, si chiamava Giacomo di Castel Nuovo. Voglio anche aggiungere che mio padre è un appassionato della lingua italiana. L’ultima volta che sono andato a trovarli declamava a gran voce versi in italiano” racconta ancora Yotam Kipnis. “Quando penso ai miei genitori cerco di essere il più ottimista e speranzoso possibile. E’ un modo per incoraggiare me stesso, per non farmi paralizzare dal dolore, per fare qualcosa che possa aiutarli a restare in salute e salvi”.
Il 29enne spiega ancora: “Mio padre è un disabile, soffre di un problema neurologico, è sulla sedia a rotelle, deve andare in ospedale una volta a settimana per le medicine, altrimenti il suo corpo si paralizzerà completamente, soffre di una malattia importante che coinvolge i nervi. Ma, da sabato, dal suo account whatsapp è stata cancellata la sua foto, ed è sparito da tutte le chat” racconta ancora Yotam Kipnis.
Che prosegue: “È come vivere in un limbo, non so se i miei genitori siano vivi o morti. Cerco di essere realistico e fare tutto quello che è in mio potere per aiutare, non solo per i miei ma per tutti gli ostaggi”. Yotam lancia poi un appello all’Italia. Appello diretto al ministro degli Esteri Tajani per via del ruolo che ricopre: “Chiedo all’Italia e agli italiani di aiutarci a fare in modo che parta una trattativa, e che almeno possano ricevere medicine. Penso che due Stati che cercano di liberare gli ostaggi siano meglio di uno, credo che questo sia il momento di trovare unione”.
E al Tg1, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha detto di augurarsi che “non siano prigionieri nella striscia di Gaza, non abbiamo notizie in questo senso e nell’altro”. il ministro degli Esteri, in un’informativa alla Camera ha poi spiegato che “gli italiani residenti” in Israele “sono oltre 18mila, tra cui numerosi cittadini con doppio cittadinanza e circa mille ragazzi arruolati per il servizio di leva. A Gaza ci sono circa 10 italiani, tra cui una bambina”.
Sono stremati ma felici di essere tornati a casa gli italiani rientrati da Israele con uno dei voli dei Boeing dell’Aeronautica militare appena atterrati nell’aeroporto di Pratica di Mare, una sorta di ponte aereo per far ritornare i nostri connazionali colti in Israele dalla violenza di Hamas. Tra loro diversi vacanzieri, famiglie e volontari provenienti da varie città, tra cui Roma e Milano. Negli occhi ancora la paura di chi ha vissuto, anche se per poco, il terrore di una possibile guerra. “Ci siamo trovati da un giorno all’altro in una situazione ingestibile, eravamo nel pieno dei bombardamenti a Tel Aviv e siamo molto provati”, racconta Giuseppe, che era in vacanza con altri due amici.
Uno di loro aggiunge: “Osservavamo il comportamento degli altri e ci siamo riparati anche noi nei bunker”. Tutti raccontano di quel rumore assordante che ha cambiato il paesaggio sonoro: “Le sirene, i razzi, le esplosioni”, un incubo che sa di orrore. E poi le prime notizie frammentate che pian piano descrivono una situazione precipitata.
“La preoccupazione ci arrivava in realtà dall’Italia. Così abbiamo cominciato a capire che le cose diventavano gravi e quindi ci siamo dati da fare per contattare l’unità di crisi della Farnesina. Loro hanno capito le nostre esigenze e ci hanno fatto ritornare. Sono dieci anni che vado a Gaza, lì ci sono state schermaglie ma non erano mai state così. Noi eravamo riparati nell’orfanotrofio e i bimbi non si sono accorti di nulla. Ma quando sono uscito domenica scorsa le strade di Betlemme erano vuote”, dice Giuseppe, uno dei volontari del progetto ‘Sorriso Cresce’ che sostiene un orfanotrofio a Betlemme da diversi anni.
Per qualcuno la violenza ha fatto irruzione durante una vacanza. “Eravamo a Tel Aviv in ferie da una settimana – racconta Federico, originario dei Castelli Romani, rientrato con la moglie e la figlia di quattro anni. Sentivamo gli allarmi e all’inizio non sapevamo neppure di cosa si trattasse. Poi ci hanno dato indicazioni per trovare un rifugio che era nel distretto e ci hanno detto di sdraiarci a terra, ma non facevamo mai in tempo perché avevamo solo novanta secondi per andare nel bunker dal momento dell’allarme. Si sentivano le esplosioni, era l’Iron Dome israeliano che intercettava e distruggeva i missili di Hamas. Per fortuna la bimba non si è accorta di niente. C’era paura e ora tanta stanchezza ma in Israele sono preparatissimi: sanno esattamente cosa fare e danno indicazioni. In quell’insicurezza ci sentivamo sicuri, c’era l’esercito dappertutto”.
La paura è descritta anche da un’altra turista appena sbarcata. “Siamo rimasti bloccati nella camera d’albergo. Il terrore c’è stata soprattutto all’inizio, quando sentivamo gli allarmi”. “Eravamo agli ultimi giorni di un tour a Gerusalemme. Per fortuna dopo gli attacchi abbiamo trovato riparo dalle suore comboniane di Gerusalemme che ci hanno ospitato per una notte. Avevamo sempre informazioni di prima mano”, aggiunge un altro turista.
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