Il campo largo va avanti, ma in ordine sparso. Se iscritti e non iscritti dovessero chiedere un programma al vertice del Pd avrebbero risposte confuse, potremmo definirle ondivaghe.
Non per colpa della Schlein e del suo entourage. Anzi, se fosse per la segretaria dei dem tutto si sarebbe già risolto.
Ma la verità è che chi dovrebbe far parte della grande alleanza non si decide a pronunciarsi in maniera chiara.
I 5Stelle che dovrebbero essere i principali interlocutori nicchiano, rimandano un giorno si e l’altro pure di entrare nel merito.
Eppure sono i primi a dire che al di sopra di ogni cosa, si deve essere uniti sui tanti problemi che assillano l’Italia.
Giusto, ma “fa il dire e il fare c’è di mezzo il mare” ricorda un vecchio e saggio proverbio.
La tanta acqua che divide le due forze diventa un oceano per una semplice e significativa circostanza. Con tanto di nome e cognome: Giuseppe Conte.
Per essere stato presidente del consiglio con due governi diversi non vuole scendere al rango di riserva o di numero due. Una specie di gregario, termine che non vuole nemmeno pronunciare.
Non solo, ma il leader dei pentastellati deve ancora combattere con l’attuale nemico numero uno, e cioè con il fondatore di questa squadra che divenne con Beppe Grillo la prima forza politica in Italia.
Non è un problema di poco conto se si pensa che molti ritengono ormai certa una scissione.
Da una parte i grillini (con Virginia Raggi e Alessandro Di Battista in primo piano) e dall’altra i contiani, cioè coloro che sostengono che il passato è morto e non si può andare contro un futuro che detta oramai le proprie leggi.
Eddy si dibatte, tenta di trovare un minimo comune multiplo, ma per ora non c’è riuscita.
Oggi fa affidamento sulle prossime elezioni in Liguria perché se in quella regione dovesse prevalere la “sinistra allargata” la Schlein farebbe un grosso passo in avanti.
E potrebbe mettere all’angolo chi non è a favore del suo progetto, l’unico in grado di battere una destra che ha deluso i propri sostenitori per le mancate promesse della campagna elettorale.
E’ il cosidetto fuoco amico a spiazzare la segretaria del Pd che ha in casa propria nemici che la contrastano e non vedono l’ora di poterla mandare a casa.
Sono i moderati dei dem che non hanno affatto digerito la sua “rivoluzione a sinistra”.
Complotto perdente al momento perché le utime elezioni europee hanno dimostrato che la politica della Schlein è quella vincente.
Ma non sono soltanto questi gli ostacoli del campo largo. Ce ne sono molti altri che rendono difficile un accordo in tempi rapidi.
E’ noto che Elly vorrebbe al suo fianco tutti quelli che sono antimeloniani, compresi i renziani e i calendiani.
I primi sono però visti da una buona maggioranza del Pd come una mossa sbagliata.
“Potremmo guadagnare quello striminzito appoggio di Italia Viva (il due per cento) perdendo quei molti elettori che non gradiscono la presenza del buon Matteo e non si fidano affatto di lui per quello che ha combinato in passato.
Per Carlo Calenda, la situazione è diversa, ma ha connotati uguali. Il leader di Azione non avrebbe nulla in contrario a schierarsi con il progetto di Elly, ma è proprio lui a non volerci entrare se nell’accordo saranno presenti i 5Stelle.
Dunque, si arriverà finalmente a raggiungere un patto in grado di sostituire l’attuale esecutivo?
Molti autorevoli commentatori ritengono che il cammino della “grande ammucchiata” finirà con lo sbattere contro un muro e sfasciarsi.
“Sarebbe necessaria una Schlein più determinata, più coraggiosa in grado di respingere coloro che non vogliono una sinistra troppo forte”, dicono.
Non è così invece. Come potrebbe esserlo se questa è la difficile situazione nella quale deve dibattere? L’unica soluzione è la diplomazia, ma i tempi in questi casi sono molto, molto lunghi.
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