Genova dopo la Liguria, la partita fra destra e sinistra per il sindaco dopo Bucci
Cosa sono ottomila voti sui quasi settecentomila in ballo nelle elezioni regionali liguri, dove erano chiamati alle urne 1 milione e 350 mila donne e uomini? Sono un pugno di voti, poco più della metà di quelli che alle 19,30 di sera, dall’estremo lembo di questa Liguria, appena alluvionata, appena scombussolata dallo scandalo giudiziario tutto regionale di Toti presidente uscente, da Imperia il suo sindaco-doge-imperatore Claudio Scajola, annuncia di avere portato in dote a Marco Bucci per farlo diventare presidente della Regione.
Dice proprio così, collegato in tv in maniche di camicia al suo tavolo di sindaco, Scajola, 76 anni, quarto mandato civico. “Vi annuncio che Marco Bucci è il nuovo presidente della Liguria, grazie ai 15 mila voti che ha conquistato qui a Imperia!”
Tremano i teleschermi e si scuotono gli osservatori e non solo i conduttori tv, perché in quel momento gli occhi sono tutti strabici: da una parte seguono le proiezioni e gli exit poll, che dalle prime ore di questo spoglio, in un primo lunedì di ora solare e dopo la grandi piogge assassine del sabato e della domenica sparano il vantaggio di Bucci su Orlando, e dall’altra studiano lo spoglio reale dei dati al Viminale.
Proiezioni e exit poll indicavano Bucci in testa con un vantaggio tra 0,80 e addirittura 3 punti su Andrea Orlando.
Ma il dato reale, quello che sfornava il Viminale, attraverso il sito “Eligendo”, era una danza frenetica, prima davanti Bucci, poi davanti Orlando e così via, in un rimbalzo ossessivo.
E in questa divaricazione, con molti che stavano già pensando a un arrivo della disfida all’ultimo voto e perfino al riconteggio finale per decidere il vincitore, arrivava quella secca sentenza scajolana, perentoria, decisiva.
E poi è finita proprio così la battaglia della Liguria, la sfida tra il genovese-americano Marco Bucci, sindaco da sette anni di Genova, l’uomo del ponte ricostruito e Andrea Orlando l’ex superministro , spezzino-romano, superparlamentare da oltre venti anni, con un distacco di otto mila voti infilati nell’urna a Imperia, la provincia lontana, quella dove, record italiano, ha votato solo il 38 per cento, addirittura 12 punti in meno della media ligure molto depressiva del 46 per cento.
Scajola aveva azzeccato e sbagliato solo il numero dei voti finali di distacco, 8 mila e non 15 mila.
Tutto il can can elettorale, pieno di nuovi numeri, di piccole e grandi sorprese, di lotte intestine tra coalizioni e partiti, scandali giudiziari e diatribe politiche in questa e quella coalizione, si risolve in quel tesoretto imperiese di Scajola and family, che da decenni stabilisce l’andamento delle elezioni in Liguria.
Come ai tempi nei quali questa provincia tutta democristiana, ma piccola e “a parte” per molti aspetti di distanza, eleggeva addirittura tre deputati e magari un senatore, da Ventimiglia a Andora, per strategia e volere di quella dinasty scudocrociata che sessanta anni dopo detta ancora legge.
Poi, certo, questa elezione, che ha portato l’euforia nei ranghi di un centro destra fino a un mese fa condannato a un distacco addirittura di 10 punti, come ha ricordato a urne chiuse un Edoardo Rixi, vice ministro leghista, uno che vive a Castelletto cuore antico di Genova, indica molte altre cose.
La prima è che questo centro destra deve a Marco Bucci in persona, nel suo corpo e nella sua mente, la vittoria perché è solo grazie alla sua personalità di manager duro e puro, neppure sfiorato dallo scandalo di Toti, esaltato dalla ricostruzione del ponte Morandi, ferito nel fisico da una malattia grave che ha sfidato, conclamandola, insieme alle urne avverse nel pronostico, che la vittoria è arrivata.
I sondaggi della vigilia e del primo mese di una campagna troppo corta, troppo secca, troppo piena di insulti, davano la maggioranza di Giorgia Meloni sconfitta in una sequenza che, con le prossime elezioni in Emilia Romagna e in Umbria, poteva azzoppare il governo di destra- destra con un vero triplete: tre Regioni al centro sinistra, zero al centro destra.
Invece grazie a Bucci e a quegli 8 mila voti la frittata si gira e dal suo semiesilio Giovanni Toti, in attesa di incominciare le sue 1.500 ore di servizi sociali, può perfino a intestarsi la vittoria, rivendicando le dimissioni e il patteggiamento, che hanno spianato una strada veloce verso le elezioni anticipate, servite sul piatto di Bucci.
Ma Toti è da solo a auto celebrarsi. Lo hanno già mollato quasi tutti, alla vigilia del voto nella grande kermesse elettorale dove solo Salvini lo ha citato e anche nel giorno del trionfo, quando se ne è stato asserragliato con qualcuno dei suoi fedelissimi a seguire i risultati.
E perfino i suoi pupilli, l’assessore Giampedrone, l’uomo della Protezione Civile, fino a poche ore prima sulla barricata delle alluvioni e l’assessore Gratarola, che lottava con i Pronto Soccorso invasi e le liste d’attesa eterne e la sua speaker, la biondissima e effervescente Jessica Nicolini, candidati sicuri dell’affermazione, sono rimasti a bocca asciutta.
Entreranno nel circo di Bucci solo se scelti come assessori o se qualche consigliere rinuncerà alla poltrona, appunto per scegliere l’incarico in giunta. Se no ciccia.
Dall’altra parte del fronte, cioè ottomila voti sotto, Orlando triste e deluso, sbarca a Genova in questa notte tanto scura come non l’avrebbe immaginata e si consola nel cuore del Mercato Orientale, il grande suk genovese della frutta, della verdura, e non solo, in un point elettorale ricavato di fortuna tra ortaggi e pesce appena pescato, rivendicando la conquista totale e anche un po’ sorprendete di Genova, città dove il suo Pd è arrivato a essere, con il 30 per cento, il primo partito, dopo anni e anni di retrocessioni, seguite a decenni di dominio da “Roccaforte rossa”.
Lui, il ministro spezzino, che aveva cavalcato la Liguria in lungo e in largo, è stato tradito da Giuseppe Conte, dal campo largo nel quale aveva cercato di stare anche a dispetto dei Santi.
Ma lo hanno pugnalato in due, soprattutto Conte, bloccando i renziani della giunta Bucci, decisi a tornare indietro e accasarsi con lui e anche lo stesso Beppe Grillo lo ha trafitto con l’anatema della vigilia del voto, nel quale annunciava l’”estinzione” dei 5 Stelle.
Così i grillini, se ancora li possiamo chiamare così, sono crollati sotto il 5 per cento anche a Genova, città-madre di Grillo e della sua nascita comica e spettacolare, nel quartiere di san Fruttuoso, cancellando quei voti che potevano compensare il tesoretto scajolano di Imperia.
Cerca un po’ a fatica di rilanciare Orlando, neppure “Furioso”, ma nemmeno “Penoso”, come lo ha battezzato il giornale “Libero”, rivendicando un successo Pd che permette di sperare nelle prossime elezioni comunali genovesi, oramai obbligate per la scelta di Bucci di andare a fare il presidente della Liguria.
La avanzata secca del Pd a Genova e nella sua provincia, la conquista anche delle altre grandi città liguri, Savona e Spezia, non certo Imperia e Sanremo, la più assenteista al voto di tutte, non basta.
Quali leader contrapporre a Bucci bis, conquistatore per due volte di Genova e ora della Liguria e a Pietro Piciocchi, oggi sindaco protempore , ma già candidato successore per le elezioni, già previste a maggio?
Il campo largo del centro sinistra è vuoto, o meglio nudo. Nel Pd, vincente come Pirro a Genova, si parla di dimissioni dei segretari regionale e provinciale, Natale e D’Angelo, per altro eletti consiglieri regionali.
Figure di spicco non ci sono, a parte Orlando, appena sconfitto e certamente destinato a tornare sul suo seggio parlamentare, buono per altri tre anni e non a sedersi a fare il capo dell’opposizione a Genova.
Per il centro sinistra lacerato e strappato, incomincia un’altra rincorsa difficile, malgrado il successo tra le mura della Superba.
Per il centro destra si riparte dal 7 maggio dei blitz della Procura della Repubblica, che decapitò la Regione, il porto e non solo.
Bucci, felice e preceduto nelle esternazioni niente meno che dalla moglie, Laura Sansebastiano, pasticcera eccelsa di professione, che gli ha rubato la scena, descrivendo come lo ha supportato in una campagna così difficile perchè vissuta dopo la diagnosi pesante della malattia, si diverte nella prima conferenza stampa da neo eletto nel suo point di Piazza Corvetto, ombelico genovese, sotto le statue di Mazzini e di Vittorio Emanuele II.
Gli fa da corona niente meno che Letizia Moratti eurodeputata, arrivata a Genova apposta.
“Sarò il sindaco della Liguria!”, sentenzia il neo presidente, facendo intendere come svolgerà il suo compito, sul modello dei primi cittadini. E non su quello dei Governatori.
E laggiù a Imperia, il sindaco che gli ha portato in dote gli ottomila voti decisivi forse si scurisce un po’. A ciascuno il suo territorio, soprattutto se così fruttifero per la causa comune…….