Genova e Liguria: ma la chiamano estate? tutti agitati per le elezioni, i sondaggi danno sempre vincente la destra.
Non basta il messaggio di Sergio Mattarella all’ombra del nuovo ponte san Giorgio, nel giorno del sesto anniversario del crollo del Morandi, quarantatrè morti, la città spezzata, una ferita non rimarginata, neppure dalla rapidità della ricostruzione.
Non bastano le parole del sindaco Marco Bucci, del vice ministro Edoardo Rixi, che annuncia il varo della legge che proteggerà le vittime di sciagure come questa. Non bastano le parole del frate-vescovo Marco Tasca, un po’ tanto rituali.
La più efficace è come sempre Egle Possetti, rappresentante dei parenti delle vittime che fa l’unico discorso veramente politico della celebrazione, sottolineando come le riforme della giustizia devono tenere conto anche della tragedia del Morandi e del relativo processo. Se non ci fossero state le intercettazioni non si sarebbe scoperto l’indecente mercato dei mancati controlli e della fasulla manutenzione di Autostrade. Quindi…….
Non basta, comunque, tutto questo: l’estate super caliente del 2024 non sembra neppure una estate, all’ombra della Lanterna e di quel ponte nuovo.
I tempi della giustizia sul crollo del 2018 si allungano pericolosamente: 59 imputati e 375 testimoni, una perizia colossale. che forse deve essere rifatta su richiesta della difesa, significano tempi sempre più allungati…
Quando finirà questo processo dal quale si attende una sentenza che almeno chiarisca le responsabilità davanti ai morti, alla città spezzata e a quel marasma che sono le autostrade liguri da sei anni?
L’ultima data prevista ora è slittata dal 2025 primavera al 2026, anno fatidico nel quale a Genova e dintorni dovrebbe concludersi ogni cosa. Da quel processo, al Terzo Valico, opera chiave attesa da 100 anni nel trasporto ferroviario (ma sarebbe già slittata anche quella data al 2027 perché nelle viscere delle montagne hanno trovato un giacimento di gas grisou pericolosissimo), alla nuova diga foranea pagata dal PNRR, almeno nella sua prima parte.
Ai lavori del nodo ferroviario, in corso da quindici anni che sono la soluzione del traffico urbano, con l’avvio della metropolitana di superficie, al nuovo insediamento al posto della Miralanza, il cui stabilimento era una delle cattedrali industriali di Genova, a pochi passi dal memoriale per i caduti del Morandi. alla funivia dal porto antico alle alture di forte Begato e del Righi….
Alla fantasmagorica conclusione del water front di Levante, un vero quartiere genovese al posto della Fiera del mare, con canali, alberghi, posteggi e il parco da 1000 alberi nella zona della Foce dove una volta nascevano i cantautori.
E come si dice chi più ne ha più ne metta, tra PNRRR, fondi europei e altri finanziamenti che assommano in blocco a sei miliardi.
La cifra che Bucci da anni sventola, per sottolineare che il futuro è grandioso e bisogna sopportare i cantieri, il traffico cittadino, la rivoluzione ….
Ma l’estate non è un’estate non solo per questi cantieri e per queste attese con maxiritardi, ma soprattutto per la politica terremotata dalla maxiinchiesta della Procura che ha decapitato la Regione e non solo.
Siamo in piena campagna elettorale con data prevista per il 27-28 ottobre per rinnovare il Consiglio regionale e scegliere un nuovo presidente. Giovanni Toti, libero da quindici giorni, dopo 86 di arresti domiciliari, è il fantasma che aleggia su questa competizione tutta giocata nelle mosse estive.
L’ex detenuto sta scrivendo un memoriale, che vuole far esplodere sotto la campagna e nel frattempo guida come un burattinaio le mosse dei suoi fedelissimi in una posizione, che non ha molto a che fare con un imputato che dal 7 novembre risponderà, nel rito immediato davanti al Tribunale, dove gli hanno preparato già un collegio severissimo, a accuse pesantissime, insieme ai suoi due coimputati, il presidente ex del Porto e di Iren, Paolo Emilio Signorini, sepolto agli arresti in un appartamento del centro storico genovese dal quale non esce nulla e Aldo Spinelli, secondo l’accusa il “grande corruttore”, 84 anni, uscito dagli arresti domiciliari dopo avere ceduto al figlio Roberto con atto notarile tutte le sue aziende..
Così la campagna elettorale si dipana come seguito di queste vicende traumatiche: caduta della Regione un anno e mezzo prima della scadenza e liberazione dell’ex presidente dopo le sue dimissioni, a lungo aspettate dai giudici e contese dal quadro politico della maggioranza di cento destra, spoliazione totale del grande imprenditore marittimo, portuale trasportistico, carcere duro per l’ex presidente dell’Autorità portuale, depennato anche dal suo ultimo incarico di amministratore delegato Iren, un incarico da 300 mila euro all’anno.
È una campagna che capovolge il destino della Liguria, rimettendo in gioco un centro sinistra, che sembrava lontano da ogni possibilità di riconquista del potere regionale, privo di programmi alternativi, di progetti, di idee, e soprattutto di leader in grado di affrontare una sfida con lo stesso Toti o con un suo successore-delfino, lanciato dai dieci anni di governo del centro destra, un boom boom di ipercomunicazione sui presunti successi del totismo.
Dal red carpet per rilanciare il turismo, al Twiga di Briatore, al reddito cresciuto dei liguri, a centinaia di Eventi di grande marketing come l’orrido pestello per il pesto fatto navigare perfino sul Tamigi, alla chiamate alle armi, meglio ai finanziamenti, di una classe dirigente economica residuale che accorreva ai pranzi e ai meeting del presidente in massa, dopo avere praticamente venduto tutte le sue aziende e accumulato una liquidità record nelle casseforti liguri e non solo, alle promesse di una inclusione ligure nel rilancio delle infrastrutture sul modello vincente proprio del Ponte San Giorgio, costruito in 18 mesi….
E’ una campagna ubriacata da uno stillicidio di intercettazioni telefoniche, che oramai escono ininterrottamente dal 7 maggio con una sequenza, spesso anche ripetitiva, che sembra quasi teleguidata in un rigenerarsi delle stesse ipotesi accusatorie con rimbalzi permanenti.
Sembra quasi che questo fiume non si fermi più: d’altra parte sono il frutto di quattro anni di indagini e di un documento accusatorio che pesa più di 5.000 pagine.
E questa lunghezza dell’inchiesta, della messa nel mirino di personaggi come Toti e Spinelli per oltre quattro anni, è uno degli elementi che suscita più inquietudine. Perché lo scandalo è scattato dopo tanto tempo, qual è stata la miccia finale e qual è il colpo da ko che giustifica il blitz?
Ci si arrovella, contando i finanziamenti arrivati da Spinelli e dagli altri imprenditori coinvolti nell’inchiesta, dai padroni di Esselunga ai titolari delle imprese di discarica e perfino al titolare del cantiere Amico, inguaiato per una cifra di 30 mila euro, non si arriva a 100 mila euro di presunto prezzo della corruzione. Basta questo?
O ci sarà dell’altro, che un giorno o l’altro uscirà dal rubinetto delle intercettazioni? O dall’ordinanza di rinvio a giudizio?
Ma la campagna ubriaca per questi interrogativi è ancor più complicata, perché in questo clima trovare i candidati presidenti è molto difficile.
Lasciamo stare la sinistra, che ha subito messo in campo Andrea Orlando ex pluriministro, uno dei più potenti capicorrente del Pd, spezzino mai molto legato al territorio ligure, poco “caldo” ma deciso a correre dopo anni di scarsa partecipazione ai problemi liguri e soprattutto autore della candidatura precedente alla sua.
Questo Orlando, che ha rifiutato una carriera europea pur di tornare in Liguria, non cavalca ancora del tutto una candidatura certa: i Cinque Stelle stanno aspettando a dargli il disco verde e hanno messo in campo un orchestrale del Carlo Felice, Pirondini oggi senatore della Repubblica, già consigliere comunale, molto popolare sotto l’ala del genovese Beppe Grillo.
Alla discussione delle candidature non corrisponde un ancora più urgente piano per smontare il totismo, contro il quale i partiti dell’ex opposizione hanno fatto ben poco. Qual è il piano alternativo, cosa fare delle grandi opere lanciate dal centro destra? Come intendono salvare la sanità naufragata sotto Toti?
Il centro destra sembra avere inscenato uno di quei tornei medioevali con tanti campioni in corsa, sotto diverse insegne e bandiera e nessuno con la lancia più appuntita degli altri.
Scontata la rinuncia dei possibili candidati civici, tutti riottosi ad andarsi a buttare in un post totismo smontato a pezzi (hanno detto di no Beppe Costa, dei Costa celebri, oggi pluriimpegnato tra Plazzo Ducale, la sua grande impresa di Acquari e intrattenimenti museali, non solo a Genova, leader dei terminalisti del porto, in Confindustria; il presidente di Federacciai e di Duferco, Tonino Gozzi; il presidente di Rina Ugo Salerno, il rettore dell’Università Stefano Delfino, quello dell’Ordine dei Medici Andrea Bonsignore) la corsa è tutta interna.
Con una prevalenza. Il postotismo: i due preferiti dal presidente sotto processo, Ilaria Cavo, ex cronista di nera in tv con Retequattro, oggi deputata di “Noi moderati”, ex assessora regionale con Toti, la sua delfina, ambiziosissima e tuttologa e Marco Scajola, nipote dell’ex ministro di Forza Italia, che avrebbe anche il sostegno di Fratelli d’Italia, oggi assessore regionale, non certo del calibro del suo illustre parente e neppure di suo padre, che fu parlamentare Dc e anche vice presidente dell’allora potente Carige.
Ma sul terreno del torneo è sceso anche colui che potrebbe prevalere: il vice sindaco di Marco Bucci a Genova, Pietro Piciocchi, potentissimo assessore al Bilancio e ai Lavori Pubblici, avvocato di buona scuola, molto cattolico, padre di sette figli, con molti pregi anche se poco allenato alla dialettica.
Ma come influirà il processo in questa cavalcata, mentre sbucano già in epoca ferragostana i primi sondaggi e la corsa si stende ovviamente ai candidati consiglieri in una battaglia nella battaglia, dove c’è una corsa dal Comune di Genova e non solo verso la Regione dove il ruolo è sicuramente più importante, ma anche il compenso……
Intanto Genova e la Liguria aspettano, aspettano il Terzo Valico, il Water front, la funivia, la metropolitana, la superdiga foranea, il tunnel sub portuale, i nuovi ospedali, il tram in Valbisagno, l’abbattimento dell’Hennebique, un aeroporto che traffichi in grande e non nelle logiche piccole e modeste di gestioni locali senza respiro, riagguantate respingendo la strategia di Aponte, i nuovi padroni e il nuovo direttore de “Il Secolo XIX”, comprato dal comandante Gian Luigi Aponte, il nuovo potente ma non tanto, appunto, costretto a dover lasciare le piste del Cristoforo Colombo al piccolo cabotaggio zeneise.
Il Fatto Quotidiano
E la chiamano estate