Il finanziamento ai partiti e i casi giudiziari liguri: un testimone racconta.
L’altro giorno, un amico mi ha fatto questo discorso: “Smettila di scrivere opinioni su un quotidiano, ti esponi per niente”.
A Genova è molto diffusa l’idea che per raggiungere qualche risultato nelle imprese o nelle professioni, sia necessario un basso profilo.
A nessuno passa per la testa che una persona possa impegnarsi in qualche attività di tipo politico, senza ricavarne vantaggi.
“Vieni piuttosto nel mio gruppo”, ha proseguito l’amico, e ti troverai bene”.
E’ singolare che molti individui dichiarino la propria avversione alla “politica” e per ottenere qualche vantaggio utilizzino gli stessi metodi dei partiti da cui prendono le distanze. I genovesi si sono allontanati dai partiti, sono ritornati alle vecchie lobby e hanno salutato come una conquista questa regressione.
In questa città si è abbattuto un Grande Fratello orwelliano, che ha registrato a strascico per anni i “contatti” tra professionisti e clienti, trabeneficiari di servizi pubblici e funzionari, tra mariti o mogli infedeli, tra sicofanti e vittime di ricatti.
Nessuna voce civile si è alzata per contestare queste tecniche di indagine: i “genovesi-bene” si sono rinchiusi nei propri “scagni”, in attesa che l’uragano si plachi.
Lo ha fatto al loro posto Antonio Di Pietro, il Pm che aveva lasciato la toga per darsi alla politica, il quale ha dichiarato che le carriere degli inquirenti devono essere separate e che Toti ha molte probabilità di essere assolto.
I liguri hanno assistito a tanti indagini finite nel nulla, l’ultima delle quali riguardava amministratori della ex Cassa di Risparmio.
Dopo che a Genova erano state inflitte condanne in Appello a oltre otto anni per truffe superiori a 22 mil., la Cassazione ha annullato tutto perché Genova era incompetente per territorio e ha trasferito gli atti a Milano dove si è patteggiato sulla base di poco più di due anni.
A proposito degli arresti domiciliari del prete genovese che approfittava di bambini ed aveva l’Aids, la mia fruttivendola ha accostato la vicenda con quella di Toti, commentando che non si poteva mettere sullo stesso piano la possibilità di ricevere un contributo elettorale illecito con l’attività di un mostro che poteva insidiare degli innocenti.
Sono lontani i tempi in cui le decisioni dei giudici genovesi facevano giurisprudenza sul piano nazionale.
La politica che conta non abita più a Genova, mentre gli stessi rappresentanti del potere economico di un tempo, dei grandi armatori, finanzieri, assicuratori, si sono estinti.
La vicenda dell’aeroporto è emblematica. Sono riusciti a fare saltare un grande progetto di sviluppo, forse proprio perché un vero imprenditore, Aponte, si stava allargando troppo e il disegno di Alfonso Lavarello era troppo bello, portava troppo sviluppo.
Le “dimissioni” per via giudiziaria di un governatore che, fuori dalla Liguria, aveva scarso seguito, potrebbero addirittura essere benefiche per la Città, se non fosse che l’opposizione esprime ancor più modeste figure, incapaci di aggregare su basi ideali o programmatiche.
Si tratta di personaggi che, in un recente passato, avevano deciso di abbandonare l’industria in nome di una politica green e di trasformare la Liguria in una Regione votata al turismo di massa, che rischia di compromettere l’integrità del territorio che i Verdi vogliono tutelare.
L’ultimo dibattito riguarda l’estensione dell’immunità ai consiglieri regionali e, perché no, al sindaco, ai consiglieri comunali e di quartiere.
Proprio in ragione delle indagini in corso, Genova è diventata il laboratorio nazionale della più seria discussione giuridica relativa al finanziamento delle organizzazioni politiche. Cerchiamo di dipanare la matassa.
Prendiamo una società che gestisce stabilimenti balneari, la quale decide di versare un contributo ad un partito che vuole limitare gli effetti della normativa europea.
Niente da dire, il contributo è legittimo. Tutti i versamenti elettorali effettuati nell’interesse di “categorie”, sono ammessi, anche quando sono dannosi per la collettività. Così una società che produce automobili può finanziare il partito che si batte per ottenere vantaggi statali per le auto elettriche, oppure per eliminarli.
Se invece un imprenditore versa un contributo di poche migliaia di euro rischia la galera, qualora l’erogazione sia finalizzata a ottenere qualche modesta utilità “individuale”.
Dopo il lungo periodo dei referendum e delle leggine sui rimborsi spese mirate a contemperare la voce del “popolo” con le esigenze materiali dei partiti, si è arrivati a stabilire che le persone fisiche possono “donare”risorse fino ad un massimo di trentamila euro e le società di capitali fino a centomila euro.
Toti e i Suoi consiglieri giuridici (e Renzi prima di lui) hanno preso alla lettera questa normativa ed hanno ottenuto “contributi” da società commerciali, dichiarati ai sensi di legge.
Il sistema Toti è una “fesseria” o risponde al modello della norma?
La fissazione di un importo massimo non significa forse che le donazionisono considerate legittime qualunque sia la ragione dei versamenti, secontenute entro questa soglia? Altrimenti, per quale ragione il legislatore avrebbe stabilito un livello massimo?
Ne è sorta una discussione che ha del surreale. Il partito degli onesti afferma il seguente principio: una società di capitali non potrebbe mai versare somme ad un partito, dal momento che lo scopo di un’impresa commerciale è quello di produrre utili e quindi ogni contributo costituirebbe “distrazione” rispetto alla finalità istituzionale.
Quindi, il “reato” sarebbe in re ipsa, per il solo fatto del versamento. Tuttavia, un ragionamento di questo tipo dovrebbe valere per qualsiasi operazioneestranea all’attività aziendale.
Non si vede perché una Fondazione che svolge un’attività nobile come quella politica, debba essere esclusa dal ricevere contribuzioni.
Mi pare che il legislatore potrebbe risolvere la questione semplicemente prevedendo che i contributi versati da una società ad una Fondazione vicina ad un partito, se contenuti entro la soglia massima, siano consentiti e legittimi e che, quindi, non sia possibile configurare il reato di finanziamento illecito o altri reati. In tal modo cadrebbe anche il reato di corruzione, dal momento che non si può prevedere un intento truffaldino rispetto ad una donazione in sè legittima.
Se questa dovesse essere la corretta interpretazione della norma, sarebbero illegittimi gli arresti preventivi e sarebbero ingiustificati quattro anni di indagini con un costo enorme per le casse erariali.
C’è tuttavia un aspetto nelle indagini che merita un approfondimento di tipo politico.
Non esiste consiglio di amministrazione nei Teatri o negli enti economici dei Comuni, i cui membri non siano espressione dei partiti di “governo”. Alcune registrazioni a strascico hanno messo in mostra gli interventi“politici” per limitare la libera espressione di voto dei consiglieri.
Voglio raccontare una mia esperienza professionale quale consigliere di una banca cittadina all’epoca delle giunte di sinistra.
Un mio collega dichiarò che il suo voto contava più del mio perché egli rappresentava il partito di maggioranza in Comune.
Lo contestai con forza e rilevai che la posta in gioco era l’interesse della banca e non dell’Ente che ci aveva designati.
Mi opposi, da solo, alla delibera (di natura speculativa e parassitaria) che venne comunque approvata e che generò qualche miliardo (in lire) di danni nell’assoluto silenzio degli Organi di controllo ministeriali alla cui attenzione avevo sottoposto la vicenda
Da allora, nulla è cambiato e i nuovi gruppi politici giunti al potere hanno ripetuto gli abusi di quelli che li avevano preceduti. Quando Fratelli d’Italia afferma di applicare lo spoil system come faceva un tempo la sinistra, non fa che ratificare il sistema contro cui quel partito aveva combattuto per decenni.
Berneschi patteggia
Sequestrati milioni