Il patteggiamento di Toti: colpevole o risparmioso? Vincitori e vinti. La più disarmante fake new propinata al cittadino italiano è che le leggi derivino dallo sforzo quotidiano di una élite scelta dal popolo attraverso una severa selezione dei “migliori”.
In realtà, i parlamentari in grado di redigere il testo di una legge si contano sulle dita di una mano, quelli che ne capiscono il contenuto, sono forse due o tre di più.
Nulla di sconvolgente, tutto ciò è la conseguenza del processo di selezione della classe politica dopo la fine dei partiti organizzati.
Se hai tempo da perdere o sei un masochista che vede i talk show televisivi “impegnati”, ti accorgi che gli interventi sono a ciclostile, senza spunti di originalità, sono frutto di una lezione imparaticcia esposta da persone che non possiedono alcun bagaglio tecnico per assimilarla.
Chi scrive le leggi
Il fatto è che le leggi le scrive una ristretta burocrazia ministeriale di “carriera”, alla quale si aggregano i magistrati “distaccati” presso il Ministero, personaggi che non si assumono alcun tipo responsabilità per il loro operato.
Il danno più elevato che subisce il paese è la “mala gestio” che deriva dall’incompetenza della manovalanza politica.
Ogni senatore e deputato è retribuito al di là dei propri meriti, per la semplice presenza fisica ai lavori parlamentari. Per queste “comparse” la politica è un business.
Accade così che un “Solone” è pagato come un “ilota”: parlano i “saggi” e decidono gli “stolti”.
I commenti postumi sono lasciati ai “giuristi”, che formano una categoria di intellettuali al soldo di qualche “principe”.
Per capire che la legge non è una scienza esatta, basterà leggere i pareri “pro veritate” di segno opposto, di legali uniti dal livello stratosferico delle parcelle.
Per dare un’idea dell’odio dei giustizialisti verso i colletti bianchi e le burocrazie, si consideri che, ai sensi dell’art. art. 280-bis. del codice penale, un “atto di terrorismo diretto a danneggiare cose mobili o immobili altrui, mediante l’uso di dispositivi esplosivi o comunque micidiali”, viene punito con la reclusione da due a cinque anni.
Dei delitti e delle pene (non solo dì Toti)
Il reato di false comunicazioni sociali di società non quotate è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
La “raccomandazione” impropria è punita con una pena che va da tre a otto anni.
C’è da chiedersi se la spartizione dei posti all’interno della Magistratura, emersa nel caso Palamara, abbia uguale sanzione.
Mario Draghi si è visto con la Meloni ed ha dichiarato che il male oscuro dell’Europa è la “burocrazia invasiva”.
Egli ha omesso di chiarire che il massino livello di “burocrazia invasiva” (che paralizza l’economia e la vita sociale) è quello raggiunto in Italia, nonostante l’esistenza di leggi più severe rispetto a quelle di agli altri paesi europei.
Il più recente esempio emblematico di questo degrado, ce lo offre il caso dell’ex governatore ligure: il patteggiamento è ammissione di colpa? Certamente, ma si tratta della “colpa” riconosciuta dalle parti.
I raccoglitori di voto dell’opposizione, cercano di “bruciare” l’avversario affermando che se uno patteggia riconosce il reato.
I Pm genovesi hanno ammesso che non esiste corruzione “propria”, quella che poteva giustificare quattro anni di indagini e di registrazioni segrete.
Gli imprenditori non hanno “barato al gioco” per avere concessioni o licenze, che erano “dovute”. La colpa addebitata è quella di avere rilasciato quelle concessioni in tempi troppo brevi rispetto a quelli usuali delle burocrazie.
Nel caso Toti le cose si complicano, perché egli non aveva il potere di rilasciare “concessioni”, dal momento che non era il pubblico ufficiale “competente” in materia.
Le colpe di Toti
La tesi accusatoria è che l’ex governatore avrebbe esercitato una “moral suasion” sui decisori formali, i quali, al momento, non risultano indagati.
Il secondo reato “patteggiato” è il finanziamento illecito da parte degli imprenditori implicati nell’affaire, che sarebbe la contropartita dei “favori”.
Tale ultimo aspetto merita una chiosa di tipo politico. Il finanziamento ai partiti è una conquista della classe operaia che cercava di contrapporsi ai “borghesi”. I signori del denaro possono occupare agevolmente le istituzioni.
Ancora oggi, come ai tempi dei “borghi putridi” londinesi, chi ha disponibilità economichesufficienti può comprarsi un posto in Parlamento.
Il fatto che la fine del finanziamento statale ai partiti sia dovuta ai pruriti etici di parte della sinistra, la dice lunga sulla pochezza politica di questo amalgama litigioso.
Anche un mitomane di strada deve convenire sul fatto che un candidato debba essere rimborsato dei costi sostenuti per la campagna elettorale; in caso contrario non esisterebbe la democrazia occidentale e avrebbe ragione Putin che la dileggia.
Gli stessi Pm hanno riconosciuto che Toti non ha trattenuto per sé neppure un euro dei finanziamenti ricevuti.
I contributi dei privati ai partiti.
Esiste una legge che consente ai privati di finanziare i candidati e, nel caso Toti, sono stati rispettati i canoni di trasparenza e i massimali previsti dalla speciale normativa.
Si afferma che un imprenditore non versa somme rilevanti perché colpito dal carisma di un capo-corrente come l’ex governatore ligure oppure di un toscano come Renzi.
I finanziatori si aspettano sempre una qualche utilità di ritorno: un posto in qualche consiglio di amministrazione di un Ente pubblico, qualche consulenza o un occhio di riguardo nella gestione di imprese.
Sulla base di questa “razionale” valutazione del rapporto tra elettore e candidato, si potrebbe sempre concludere la presenza di un interesse privato contrario a quello erariale.
Non ci sarà bisogno di sterminate indagini, basterà farsi dare l’elenco, peraltro “pubblico”, dei finanziatori e trarne le “ovvie” conclusioni.
Non è così, perché sarà comunque necessario valutare, caso per caso, se il consigliere designato possedeva o meno la professionalità necessaria per ricoprire il ruolo e se l’imprenditore era a capo di un’organizzazione efficiente.
Infatti, il danno erariale non è una questione etica, bensì l’aver ricevuto un’opera o un servizio a prezzi superiori a quelli di mercato.
In tutto il mondo, la funzione dei partiti è quella di selezionare i migliori e di proporli alla guida degli enti e delle imprese pubbliche.
In Italia, esiste la parità tra accusa e difesa? Le vite “dimezzate”.
Il Pm spende nell’indagine le risorse erariali decise da lui stesso, perché un eventuale limite costituirebbe una menomazione della propria autonomia.
Il “privato” paga di tasca propria i difensori e la previsione che, in caso di assoluzione dovrebbe vedersi risarcito, costituisce un principio astratto.
L’accusa può attendere l’esito del giudizio nei suoi tre gradi per anni e anni senza alcun tipo di ambasce.
Il cittadino che si ritiene innocente e si deve dedicare alla propria difesa può perdere il lavoro o il patrimonio e recuperare la propria onorabilità a tempo indefinito.
L’ex ministro Mastella è stato assolto dopo un calvario di dieci anni: la sua vita è stata “dimezzata”.
Per queste ragioni, il patteggiamento è la presa d’atto pragmatica dei costi-benefici di un processo senza fine.
In conclusione, nel caso Toti ancora una volta ha vinto la magistratura e ha perso la politica, di destra e di sinistra. Il vero grande sconfitto è lo Stato di diritto.