Il premierato forse non passerà mai. Probabilmente un referendum lo affosserà e questo spiega il silenzio di Lega e Forza Italia che sono le vittime designate del rozzo disegno di Giorgia Meloni.L’esperienza di Matteo Renzi insegna che le riforme pensate male e scritte peggio fanno una brutta fine. Forse Salvini e Tajani puntano su questa evoluzione, forse sperando nel frattempo di barattare con Meloni il loro assenso con qualche concessione tipo l’autonomia.
Intanto il ddl 935 segue il suo corso in Commissione al Senato e a questo fine l’ufficio studi del Senato ha esaminato il ddl 935 presentato da Meloni e Casellati sul premierato elettivo e ne evidenzia tutti i “bachi” e i “buchi”, ne riferisce Kaspar Hauser sul Manifesto.
La prima incongruenza, scrive Hauser, riguarda l’elemento centrale del ddl, racchiuso nel comma: «Il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni». «Pare – osserva il dossier – così esser fatto proprio un modello di ‘governo di legislatura’».
E però il ddl Casellati prevede la possibilità di un secondo premier che subentra a quello eletto, e anche «apposite fattispecie di scioglimento ‘necessitato’ delle Camere», Camere che quindi durerebbero meno dei cinque anni del mandato del premier eletto. Insomma è quello che hanno detto tutti i costituzionalisti ascoltati in audizione: la durata della legislatura, nei regimi parlamentari, è quella del parlamento. Per un mandato elettivo diretto può essere indicata la durata, come avviene negli Usa o in Francia per il presidente, ma non quando questo dipende dalla fiducia del parlamento la cui legislatura può durare meno.
Un “baco” che può creare un cortocircuito istituzionale: «Il Presidente del Consiglio è eletto nella Camera nella quale abbia presentato la sua candidatura», afferma il ddl per fugare il fantasma di presidenti del consiglio tecnici.
Ma allora «la legge elettorale dovrà prevedere forme di collegamento fra la candidatura a Presidente del Consiglio e la candidatura a parlamentare, tali da garantire che l’elezione a Presidente del Consiglio comporti comunque anche l’elezione alla Camera per la quale il Presidente eletto abbia presentato la sua candidatura a parlamentare».
Una legge elettorale che garantisca l’elezione di un candidato, seppur aspirante anche alla carica di premier è un tantino incostituzionale.
«La legge – viene annotato – dovrà dunque definire se la votazione per l’elezione del Presidente del Consiglio avvenga su una scheda a sé o avvalendosi delle schede per l’elezione di Camera e Senato, e quale strumentazione sia volta a regolare o contenere le possibilità di un voto ‘disgiunto’, ad esempio nell’ipotesi in cui l’elettore voti in modo del tutto diverso tra Camera dei deputati e Senato della Repubblica». Ma impedire all’elettore la libertà di scelta dei propri rappresentanti, imponendogli di scegliere all’interno della stessa coalizione senatore e deputato, è illegittimo. Lo ha detto la Corte costituzionale nella sentenza 1 del 2014.