Liguria al voto. Nel magma confuso delle elezioni regionali liguri, anticipate dallo scandalo Toti, complicate dalla difficoltà delle contrapposte coalizioni di trovare candidati, spunta un paradosso.
Il centro destra, dove non si fa che litigare tra totiani maltrattati, leghisti con l’occhio alle altre regioni sotto voto, Fratelli d’Italia che vuole sottolineare la sua leadership, Forza Italia interessata a confermare la sua rimonta, potrebbe preferire perderle queste elezioni.
Perché la destra vuole perdere in Liguria?
L’ipotesi spunta da lontano e nasce da questa incapacità di trovare un candidato di partito, civico o magari anche lunare.
E anche dalla situazione molto difficile in cui la Regione si trova in questo momento a quattro mesi esatti dall’arresto di Giovanni Toti.
Opere pubbliche quasi tutte bloccate, con i soldi del PNRR spesi e in parte destinati a dover essere restituiti all’Europa, con un deficit sanitario da paura.
E in più una condizione di isolamento infrastrutturale che peggiora giorno dopo giorno per cielo, per terra , per mare, per ferrovia e per autostrada.
L’industria marginalizzata nelle crisi epocali di Ansaldo, Piaggio e soprattutto di Ilva.
Ipotesi sul perché di una crisi
Chi si prende in carico questa situazione pericolosa, dopo il rimpallo di accuse tra chi sostiene che l’emergenza assoluta l’ha creata proprio l’inchiesta della Procura genovese.
E chi ribatte che il “regno” di Toti era solo mediatico, di chiacchiere e illusioni, red carpet, zattere in giro per il mondo con il maxi pestello per il pesto, inaugurazioni di treni veloci e invece sempre più lenti…..
Parte dei nomi gettati sul tavolo delle candidature come dadi dimostrerebbero questo disinteresse alla vittoria per la loro debolezza rispetto al ruolo di successore di Giovanni Toti che si era costruito un’aurea di grande amministratore-protagonista di cambiamenti epocali e di relazioni importanti al punto di diventare un politico nazionale in cerca di una ribalta ben più importante di quella ligure.
La supertotiana Ilaria Cavo, ex assessora della prima giunta Toti, giornalista come lui, scelta nelle redazioni Mediaset, oggi parlamentare di “Noi moderati”, ambiziosissima, sicuramente donna con molte capacità, soprattutto di grande visibilità, appare una figura non proporzionata al ruolo.
E poi il suo identikit così totiano, sfiorato anche dall’inchiesta giudiziaria, l’ha fatta censurare proprio dall’uomo politico ligure più importante, Edoardo Rixi, il vice ministro ligure alle Infrastrutture che l’ha indirettamente esclusa dalla corsa, augurando alla coalizione una scelta fuori dall’alveo totiano.
Anche la vera eminenza grigia di queste elezioni, Claudio Scajola, il “rieccolo” per eccellenza in Liguria, sindaco di Imperia e presidente della città metropolitana, ex pluriministro e fondatore di Forza Italia con Berlusconi, rimontato in una posizione di grande influenza dal suo regno imperiese, ha evidenziato il rischio di una candidatura nell’alveo del presidente imputato, stoppando perfino un suo nipote, Marco Scajola, assessore regionale di belle speranze.
Ed ha chiesto un “conclave” nel quale scegliere la candidatura, mettendo in imbarazzo gli alleati, che sanno di trovare pane per i loro denti se dovessero discutere con il sindaco di Imperia, così rimontante da essere diventato uno degli spin doctor di Antonio Tajani, ministro degli Esteri e leader in ascesa fortissima dentro Forza Italia e non solo.
Forse il conclave non si farà, ma il peso di Scajola è evidente.
Un altro nome gettato un po’ là, senza avere le consistenze giuste, è quello di Carlo Bagnasco, ex sindaco di Rapallo, coordinatore di Forza Italia, presidente dell’Automobile Club, indicato proprio da Tajani, probabilmente più per coprire una casella che per convinzione.
Restano nelle indicazioni pressanti del centro destra il vicesindaco di Genova Pietro Piciocchi, avvocato importante, macchina operativa molto forte dell’azienda comunale, vera colonna per il sindaco Bucci, che ha acconsentito a eventualmente privartene, ma che non ha la visibilità e la forza mediatica della Cavo.
Restano le ipotesi già oscurate da tempo dello stesso Edordo Rixi più volte negativo sulla proposta, che Salvini non vorrebbe lasciar andare in Liguria, per non occupare con la Lega una casella nel potere regionale, che il segretario nazionale destina al Veneto del dopo Zaia.
Rixi potrebbe essere convinto solo da Giorgia Meloni, che riconoscerebbe all’operazione una eccezionalità nelle spartizioni del centro destra.
E resta il professor Lorenzo Cuocolo, il civico perfetto, docente universitario a Genova e alla Bocconi, presidente della Fondazione Carige, figlio di un grande della Dc ligure, Fausto Cuocolo, docente anche lui, “sparato” dalle Br, discepolo di Paolo Emilio Taviani.
Un candidato perfetto, che anche Scajola cerca di convincere, ma che ha detto di no più volte.
Candidati deboli più candidati improponibili perché non disponibili ad accettare il ruolo: così si perfeziona quel paradosso più spettacolare che reale di un centro destra che non si impegnerebbe a fondo nella contesa fiammeggiante della Liguria, decapitata non solo in Regione da questo scandalo, oramai alla vigilia di un processo molto sanguinoso.
Intanto Toti ha avuto il suo show televisivo di difesa, nel quale per “Quarta Repubblica”, davanti a Nicola Porro, ha potuto dispiegare la sua tesi con la consueta capacità espressiva, sottolineata dalla convinzione di avere solo esercitato il suo ruolo di presidente in un situazione nella quale è la politica imputata di non avere regolamentato il finanziamento dei partiti in modo più corretto e di avere scatenato un conflitto permanente con la magistratura.
“E’ la magistratura a avere messo agli arresti la Liguria”, ha dichiarato, forse esasperando un po’ i toni, personificando se stesso con l’ente che governava, secondo l’accusa commettendo reati e secondo se stesso assolvendo a un compito più che legittimo.
Ora Toti in attesa del processo del 7 novembre presenterà il suo libro- memoriale e ricomincerà a fare il giornalista, scrivendo su “Il Giornale” di Sallusti.
Ma il processo si complica ancora prima di cominciare perché uno dei tre imputati eccellenti, Paolo Emilio Signorini, tutt’ora agli arresti domiciliari, dove anche lui sta scrivendo un memoriale di difesa, sta trattando con i giudici un patteggiamento. Vuol dir che ammette delle responsabilità per evitare il giudizio e concordare una pena preventivamente.
Ciò significa inevitabilmente suffragare le accuse che lo vedono co-imputato di Giovanni Toti e di Aldo Spinelli soprattutto, l’imprenditore presunto supercorruttore.
Non è un bel viatico perché i due dovranno partire nelle loro difese anche dalle ammissioni del loro co-imputato.
Quanto l’altro fronte, che si sta preparando alle elezioni, sfrutterà il processo, di cui saremo alla vigilia mentre le elezioni saranno appena concluse ma nel pieno dei loro esisti?
Il candidato oramai conclamato del centro sinistra, Andrea Orlando, l’ex ministro, sta già sfoderando le sue armi mentre si completano le alleanze del campo largo, anzi larghissimo che lo appoggerà.
Oltre a Italia Viva di Renzi, che ha già annunciato di voler entrare, suscitando le reazioni contrarie della sinistra-sinistra, anche Calenda con la sua Azione parteciperà, pur avendo messo dei paletti sulla convergenza.
Il puzzle del campo largo-larghissimo in qualche modo, con qualche soluzione probabilmente si completerà e sarà una grande primizia nel quadro italiano, una anteprima di campo largo-larghissimo, quello da tempo invocato per fermare lo strapotere meloniano.
Andrea Orlando avrà bisogno di tutti nella sua battaglia reale o con il paradossale vantaggio della destra che “vuole perdere”.
I moderati del Centro di Renzi-Calenda, fallimentare nelle ultime elezioni, possono riempire il vuoto che la candidatura di Orlando troverà inevitabilmente a Genova, città dove si giocano le elezioni regionali e dove legioni di moderati non andavano più a votare o, tappandosi il naso, votavano anche Fratelli d’Italia.
L’analisi dell’ultimo voto europeo conforta in questo senso il candidato del centro- sinistra, non tanto per il “buco” centrale che può riempire, ma perché il Pd aveva già riconquistato spazio nei quartieri borghesi, luoghi da tempo conquistati dalla cosidettasinistra “cachemire”, fatta di borghesi radical chic, ma anche in quelli più periferici, dove avevano progressivamente dilagato la Lega e poi i Cinque Stelle.
Si vota pesando il processo, ma probabilmente molto di più le condizioni della Liguria, che oscilla tra un ottimismo generato proprio dalla spinta della triplice Toti, Bucci e Signorini e il catastrofismo degli oppositori che definiscono rovinosa la situazione della regione.
Due visioni contrapposte anche violentemente tra Eden e Inferno. Con l’incubo dell’astensione che nel precedente turno regionale era il 46 per cento e che proprio il processo potrebbe far aumentare piuttosto che incidere a favore dell’opposizione.
E mentre il paradosso dell’ autosconfitta fa mormorare in vista del nuovo presidente, nel sottobosco delle semplice candidature per un posto da consigliere si è scatenata a destra una vera bagarre o meglio un supermerkato.
Sciolta la lista Toti, l’ex presidente dietro le quinte sta costruendone una sostitutiva che si chiamerà “Avanti Liguria”, un agglomerato supercivico nel suo segno il cui coordinamento è stato subito affidato a Jessica Nicolini, ex portavoce, ex coordinatrice delle Politiche culturali, tanto per cambiare una giornalista, ex cronista di Telenord, diventata ape regina del totismo.
La popolarissima Lilly Lauro consigliera della lista Toti, molto votata in passato sia in Comune e in Regione, invece, lascia l’ex presidente e la corteggiano gli altri del centro destra. Altri totiani hanno preso il biglietto della Lega, in un rimescolamento che non lascia molti dubbi. Sic transit gloria mundi. O meglio gloria Toti.