Allora, c’è la possibilità che finisca questa pericolosa guerra tra politica e magistrati?
Possibile che due poteri dello Stato, fondamentali per l’equilibrio del Paese, non riescano a trovare un accordo che metta fine ad una divisione che acuisce i problemi dell’Italia?
Uno spiraglio c’è, ma è un piccolo spiraglio sul quale bisogna lavorare con calma e senza inutili preconcetti. L’ottimismo, sia pure pacato, nasce dalla elezione del nuovo presidente dell’Anm, l’associazione nazionale magistrati: al posto dell’irriducibile Giuseppe Santalucia, è stato eletto un più “arrendevole” Cesare Parodi, il quale, sia pure con molta prudenza, ha lanciato un simbolico segno di pace.
Come? Rispondendo si ad un invito a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni. Circostanza che il precedente presidente avrebbe rifiutato a prescindere.
Magistrati vs Governo, non se ne può più
Attenzione: non è che oggi si possa dire conclusa questa inaccettabile divisione, però uno spiraglio non lo si può nascondere leggendo con attenzione l’intervista di Parodi ai giornali.
Che cosa dice il neo eletto? Sostiene: “Il momento è complicato, cercherò in tutti i modi di pacificarlo, ma sulle nostre posizioni non arretriamo”.
Cioè a dire, siamo da capo a dodici se indietro non si torna? Non è così perché all’apparenza il verbo “pacificare” vorrà dire pure qualcosa se si vuole analizzare a fondo il pensiero del nuovo presidente.
Ed è logico che non può dire all’improvviso che è scoppiata la pace, ci vuole molta diplomazia in questa vicenda. Perciò, va avanti con i piedi di piombo confermando lo sciopero delle toghe (ancora rosse?) di fine mese.
Potrebbe sembrare una voce del si e del no, il cosiddetto politichese molto in uso nei Palazzi. Ricordate Tancredi nel Gattopardo: “Si cambi tutto per non cambiare nulla”.
Continua Parodi: “Non siamo per questa riforma (quella della separazione delle carriere), ma non penso che, una volta approvata, ci sia il rischio della sottomissione dei pubblici ministeri all’esecutivo”.
La Corte Costituzionale aspetta 4 nomine
Non è poco se facciamo un semplice paragone con quel che si era detto finora. Anche gli intellettuali con la messa in piega a sinistra dovranno convincersi che forse qualcosa cambierà.
Quali novità possiamo aspettarci? Questo è un interrogativo che, al momento, non ha una risposta. Avventurarsi in una ipotesi potrebbe significare essere smentiti ventiquattr’ore dopo. Ma una previsione sia pure blanda la si può ipotizzare: forse il predominio delle toghe rosse è in via di estinzione. Sia pure se in minoranza erano riuscite negli ultimi anni ad essere dominanti. E ora? Dobbiamo attendere che il tempo si pronunci per una tesi o per l’altra.
Spetterà anche alla premier dimostrare la sua intelligenza politica. Da quando è a Palazzo Chigi ha dimostrato di essere sempre a metà tra nazionalisti e antinazionalisti, tra europeisti e populisti. Questo non vuol dire un ritorno al passato, un atteggiamento tipico dei Democratici Cristiani: è più che altro un tentativo di mettere una parola fine ad una guerra che non fa bene ad un Paese che deve risolvere molti altri assillanti problemi sui quali la minoranza alza giustamente la voce.
Potrebbe essere ad esempio che si risolva il caso dei quattro giudici mancanti alla Consulta, che una decisione tiri l’altra: tutte per andare incontro alle esigenze di un Paese che oggi in Europa vale tanto. A dispetto di quell’isolamento che una parte politica prevedeva dopo che la destra aveva stravinto le elezioni. Punto e a capo.