Malagò merita il quarto mandato, magari anche ministro dello sport: i risultati dicono che è bravo e capace.
Alla fine del ciclo storico dell’ideologia, i fattori aggreganti che sono alla portata delle masse hanno ripreso il sopravvento. Durante le Olimpiadi, dalle finestre delle case appaiono le bandiere nazionali come mai avviene in relazione ad eventi di carattere sociale o politico.
Gli organismi che gestiscono l’area degli interessi mercantili dello sport, dalla parte delle istituzioni e dal versante delle imprese, stanno ormai assumendo un ruolo essenziale nel mantenimento degli equilibri sociali in ogni parte del mondo.
Lo sport si colloca sopra la politica e le guerre perché riguarda i popoli e non i governi: bisogna per questo criticare l’esclusione della Russia dalle Olimpiadi perché il popolo russo è cosa diversa dal regime che ora lo rappresenta.
Con la stessa logica, non si capisce perché in passato siano stati ammessi alle olimpiadi regimi come quello sovietico o quelli odierni dell’Afganistan, dell’Iran, del Venezuela, di Israele o della stessa Palestina guidata da Hamas.
Una sommessa critica potrebbe semmai essere avanzata per l’ammissione alle Olimpiadi del calcio, uno sport basato sull’impiego di enormi risorse (vince la squadra che ha più soldi) ad uso di folle sterminate di “tifosi”. Peraltro, è proprio grazie al calcio, che l’Italia ha potuto finanziare le altre attività sportive agonistiche.
Provo una certa simpatia per il presidente del CONI, Giovanni Malagò, che aspira al quarto mandato alla presidenza del CONI e che ha dichiarato: “Vorrei restare fino a Taranto e Milano-Cortina, che non sono figlie dello spirito santo, ma merito dell’attività di lobbying”.
La mia simpatia deriva dal fatto che Malagò ammette pubblicamente che la scelta della sede delle Olimpiadi o dei Giochi è il risultato di trattative, di compromessi, di un’attività di lobbying internazionale così importante nel resto del mondo e che da noi è considerata “traffico di influenza”.
A Bruxelles (palazzo Berleymont, sede della Commissione europea), si è sempre svolta una vasta rete di lobbying intorno alle associazioni istituite sul piano europeo (ce ne sono circa mille in sede stabile, francesi, inglesi, tedesche e giapponesi). Nulla di strano che, nell’ambito del sport, che coinvolge importanti interessi mondiali, ogni decisione importante sia il risultato della diplomazia dei salotti dei ministeri degli esteri e delle attività di lobbisti molto dotati.
Solo che le lobby non hanno carattere permanente: si formano, si modificano e si estinguono in conseguenza del variare dei governi e dei regimi. Quando i centri di potere cambiano, l’attività di lobby deve ricominciare daccapo.
I canali di influenza di Malagò che gli hanno consentito di ottenere la sede dei giuochi invernali a Cortina, possono interrompersi nel giro di poco tempo. Se dunque la grande abilità di Malagò fosse consistita solo in un’attività di lobby, i valori da esso portati al nostro sport sarebbero modesti e non giustificherebbero l’ennesimo rinnovo.
Credo piuttosto che negli ultimi anni il nostro Paese ha migliorato la percezione di credibilità internazionale sul piano dello sport grazie alle politiche pubbliche e agli investimenti dei governi.
In ogni caso, non esistono presidenti o consiglieri di amministrazione che restino in carica per periodi indefiniti. Secondi studi qualificati, dopo quattro anni di lavoro nella medesima posizione i manager tendono ad appiattirsi e a diventare meno efficienti.
Una forte mobilità riduce il numero degli abusi in quanto il singolo amministratore è consapevole del fatto che, a distanza di qualche anno, i successori potranno controllare e verificare i precedenti comportamenti. Quando un manager diventa “insostituibile” significa che non è stato capace di organizzare l’ente amministrato.
Sotto altro aspetto, va ricordato che una politica sullo sport non può essere separata dagli aspetti economici. Il successo delle Olimpiadi in Francia deve essere misurato non solo per le finalità di “grandeur”, ma per il valore degli appalti che ne sono derivati a favore dell’imprenditoria francese.
Dobbiamo quindi domandarci quanto ci costeranno gli investimenti collegati ai “Giochi” di qualunque natura, e, principalmente verificare le capacità di realizzazione delle grandi opere da parte delle nostre imprese.
Paesi come il Qatar che dispongono della rendita petrolifera non si pongono questo problema: non esiste cittadino di questo emirato in grado di fare l’idraulico o il carpentiere e la stessa manovalanza proviene dal Pakistan o dall’India.
Per l’Italia, invece, bisogna stabilire ogni volta la redditività dei lavori, ossia i profitti che ne derivano. Su tale principio si fonda la vita dell’impresa, il nucleo più elementare del tessuto economico, il centro di regolazione dei conflitti tra capitale e lavoro, al cui interno non sono consentite situazioni di prevaricazione durevoli da parte di qualsiasi categoria di interessi. In questo senso il profitto misura l’efficienza dei singoli attori economici e diviene Valore.
Se i successi di Malagò, conseguenza delle Sue indubbie capacità di fare lobby, avranno avuto importanti ritorni economici e non solo di facciata, mi pare il caso di premiarlo con un quarto e quinto mandato e magari di nominarlo ministro dello Sport.