Patto di stabilità, il Governo ha detto sì. Le ragioni le spiega il sottosegretario al Mef Federico Freni in un’intervista a Repubblica: “Abbiamo detto sì perché il nuovo Patto di stabilità recepisce gran parte delle nostre richieste. A iniziare da un percorso di risanamento più lungo per via di un impegno puntuale sugli investimenti. Nessun capriccio”.
Il sottosegretario poi aggiunge: “L’Europa ha preso atto della necessità di non soffocare la crescita”. Operazione che nel passato comportava “una correzione dei conti pubblici troppo gravosa e soprattutto ingiustificata. Non torneremo all’austerity. È un buon compromesso, che dobbiamo soprattutto alla capacità ed alla tenacia del ministro Giorgetti”.
Secondo Freni, nuovi parametri su debito e deficit sono sostenibili. “L’Italia – dice – ridurrà il debito in maniera realistica, graduale e sostenibile, nell’ambito di un quadro complessivo che garantirà un supporto strutturale agli investimenti, soprattutto a quelli del Pnrr. Saremo in grado di rispettare un impegno che dobbiamo innanzitutto agli italiani: i rubinetti della spesa vanno regolati per evitare che la casa si allaghi. Ma serve gradualità – sottolinea – e non si deve fare confusione: le regole fiscali sono solo un mezzo per raggiungere la sostenibilità finanziaria complessiva, come da sempre sostiene la Lega”.
Il nuovo Patto di stabilità prevede percorsi di riduzione del deficit lunghi 4 anni che possono essere allungati fino a 7. Ci sono poi una serie di clausole che consentono ai singoli paesi margini di flessibilità. Questi margini sono legati alle riforme strutturali, agli investimenti e al pnrr.
La riforma mantiene inalterati i parametri di Maastricht. Il rapporto deficit/Pil resta al 3%, il debito pubblico/Pil resta sotto al 60%. Scompare però la regola della riduzione di 1/20 l’anno. Rimane invece inalterata la regola automatica del rientro annuo dello 0,5% del Pil.
Per chi ha un debito superiore al 90% del Pil (tra questi c’è anche l’Italia), resta l’obiettivo di portare il livello di disavanzo all’1,5% del prodotto. Per centrarlo bisognerà ridurre la spesa dello 0,4% annuo in quattro anni oppure dello 0,25% in sette.
Il Patto di stabilità è passato grazie alla Francia che ha fatto da asse con la Germania, costringendo così l’Italia ad aderire. E Repubblica scrive che quanto deciso si traduce in una zavorra da 15 miliardi l’anno che ci costringeranno a congelare ulteriormente la spesa. E per confermare la riduzione del cuneo, dal 2025 serviranno tagli alle spese o nuove tasse.