Durante la finale il cantante Ghali aveva auspicato sul dichiarato sul palco di Sanremo, “stop al genocidio”. Prevedibile la reazione indignata dell’ambasciatore d’Israele in Italia Alon Bar. Punto di frizione nel dibattito – nel contesto di una guerra terribile e drammaticamente divisiva – è sempre lo stesso: la solidarietà al popolo palestinese senza la menzione del pogrom assassino del 7 ottobre scatenato da Hamas contro i civili ebrei.
“Ritengo vergognoso che il palco del Festival di Sanremo sia stato sfruttato per diffondere odio e provocazioni in modo superficiale e irresponsabile – ha scritto su X l’ambasciatore israeliano -. Nella strage del 7 ottobre, tra le 1200 vittime, c’erano oltre 360 giovani trucidati e violentati nel corso del Nova Music Festival. Altri 40 di loro, sono stati rapiti e si trovano ancora nelle mani dei terrorist. Il Festival di Sanremo avrebbe potuto esprimere loro solidarietà. È un peccato che questo non sia accaduto”. Da parte sua il cantante non è arretrato di un millimetro, lui certe cose le dice da tempo, molto prima del 7 ottobre, ha dichiarato.
Sostenitori e detrattori, solidali e indignati, si dividono come d’abitudine. La Rai rivendica i suoi costanti appoggio e considerazione per Israele, esponenti di sinistra plaudono al coraggio di Ghali. La questione, insieme alla comprensione di un conflitto eterno e disastroso, sembra concentrarsi sullo spazio che possiamo concedere alla libertà d’espressione.
Se la domanda è, può un cantante approfittare della visibilità di un palco così prestigioso per esprimere posizioni politiche, la risposta è che sì, in paesi liberali come il nostro, si può, anche se non ci piace quello che dice. Per la buona ragione che ad altri non sarà parimenti impedito di denunciare la violenza e il settarismo di Hamas, di sostenere che la parola genocidio meriti perlomeno di essere maneggiata con cura, né di pensare che Ghali si faccia bello gratuitamente al riparo di una nobile causa.
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