La sequenza cinematografica è irresistibile nella sua comicità e in qualche modo eterna nel cogliere e raffigurare un “modus” dell’umano: quello di pretendere, pretendere, pretendere senza ragione e ragionevolezza alcuna. Anno mille e quattro, quasi mille e cinque: Roberto Benigni e Massimo Troisi su un carretto diretto in Spagna ora sono su un tratturo di campagna italica vigliato e sbarrato al passo da una guardia-esattore-gabelliere. E’ una dogana, una sbarra-gazebo doganali fatti di nulla se non di una voce che perennemente si leva. Perennemente, ad ogni passaggio, ad ogni rumore. “Un Fiorino!” è l’intimazione-richiesta del doganiere. Non dice mai altro, mai manca di dirlo: “Un fiorino!”.
I due sul carretto pagano quella che è una tassa di transito, pagano solo per passare. E nel passare e pagare cade loro dal carretto un sacco, un qualsiasi sacco del bagaglio. Il gabelliere-doganiere viene risvegliato dal rumore e a Troisi che è andato a raccogliere il sacco caduto appena dietro la linea di dogana viene re-intimato: “Un fiorino!”. Troisi tenta di dire e far valere l’ovvio: “Siamo quelli di prima…”. Niente, imperterrito e stolido il doganiere-gabelliere ripete, esige, intima: “Un fiorino!”. A lui nn importa, no compete se l’esazione, se la tassa doganale sia già pagata oppure grottesca oppure pazzesca, oppure ridicola oppure tragicomica. Lui è lì per dire “Un fiorino!”. E’ la sua funzione sociale. Nella sequenza cinematografica sorridiamo di lui, dell’esattore gabelliere anche del sacco caduto al riavvio del carro.
Sicilia, Calabria, Basilicata: “Un fiorino!”
Nella sequenza della vita reale si osserva come le Regioni del Sud d’Italia stiano assumendo pensieri, parole ed azioni equivalenti all’esattore monocorde nel volere “un fiorino”. Sempre, senza se e senza ma. Un fiorino per far passare qualunque cosa, fosse anche solo un rumore. Regione Sicilia all’avanguardia, Calabria e Basilicata appena un passo indietro. Nell’allestire la garitta della dogana atta ad esigere la doganale tassa. Tassa doganale su cosa? Sul passaggio dell’energia prodotta con il sole.
Sole che, come di sa, è prodotto e risorsa doc del Sud e delle sue regioni. Quindi, se si produce energia con i pannelli solari, si usa materia prima che è roba del Sud o comunque delle Regioni del Sud. Quindi quell’energia, se varca lo Stretto, se va al Nord, deve pagare dazio perché bene esportato. Tassa doganale sul sole. Nella forma di versamenti alla Sicilia e alle altre Regioni del Sud di gabella per ogni pannello fotovoltaico installato in quelle terre. Insomma: “Un fiorino!”. Per ogni pannello.
Non ci resta che piangere
Dal film mutueremo il titolo, il “non ci resta che piangere” di fronte ad un sudismo lazzarone molto più che lazzaro (non consola faccia il paio con un nordismo tronfio e arpagone). Il titolo del film ben può essere trasferito nella realtà delle…autonomie regionali.
Quel che purtroppo dal film non può essere trasferito nella realtà delle autonomie regionali è il saluto che alla fine Troisi e Benigni consegnano in risposta al gabelliere salmodiante “Un fiorino!”, quel meritato, opportuno, politicamente corretto e quanto mai dovuto: ma va…Quanti vaffa sprecati e mal indirizzati nella storia recente degli umori d popolo italiani e quanta incolmabile assenza di uno Stato, Nazione o Paese, chiamatelo come vi pare, che qualche “vaffa” lo elargisca ai vari gabellieri abituali del pedaggio sul transito del pubblico denaro. Ora i reparti speciali di questo vasto esercito stanno elaborando installazione della dogana per l’esazione della tassa sull’esportazione della luce del sole. Troveranno consenso e ascolti, se non soddisfazione, sui “territori”. Non troveranno, chiara e netta e sacrosanta, l’indicazione finale che Troisi e Benigni danno al gabelliere.