Tasse e illusioni: quante scemenze, chiamatele fake news se volete ma fermateli. Per persuadere la gente occorre essere ascoltati e per essere ascoltati non si può andare contro i pregiudizi del tempo in cui si vive. Bisogna insinuarsi nell’animo altrui, non spaventarlo con idee che ai più non riescono bene accette né alienarselo con ragionamenti astrusi. Per questi motivi i leader politici cercano facili slogan e tra i telepredicatori prevale sempre il “teorico”.
Lo slogan più “sfigato” che ha fatto il giro di tutte le cancellerie europee, è quello suggerito alla Meloni dai suoi consulenti mediatici: l’impegno di abolire le accise sulla benzina.
Il fatto è che, quando sei all’opposizione prometti l‘impossibile, quando entri nella stanza dei bottoni vieni fagocitato dalle burocrazie di carriera che ti riportano alla realtà. In materia di tributi esiste un principio universale: quando prevedi nuove tasse devi essere certo di poterle incassare.
Dobbiamo considerare un demente all’ennesima potenza il vigile urbano che commina una multa da mille euro al barbone che dorme sotto i ponti occupando così il suolo pubblico. Non diversamente da quel vigile si comportano i rappresentanti politici che prevedono un gettito tributario senza considerare le perdite che ne conseguono, oppure che mettono tra le entrate pubbliche i crediti verso contribuenti ai quali non puoi pignorare i mobili di casa.
L’attuale governo deve affrontare il dilemma del “serpente che si morde la coda”: per dare competitività al paese bisogna ridurre le tasse, per risolvere i problemi sociali occorre aumentarle. Cerchiamo di distinguere tra politici seri e imbonitori, individuando le principali fake news in materia tributaria.
Partiamo dalla “patrimoniale”. Quando la Schlein afferma che si tasseranno solo i patrimoni multimilionari, dice una sciocchezza, perché, a meno di applicare un’aliquota del 50%, considerato il limitato numero dei ricchi italiani, il gettito tributario sarebbe risibile. Diversa è la situazione dei Paesi come gli Usa, dove i patrimoni accumulati dai privati, in valore unitario e in numero, sono superiori di cento volte rispetto a quelli esistenti in Italia.
L’idea di prendere ai ricchi per dare ai poveri è un facile slogan ormai datato. La prima ragione della perdita di posti di lavoro in Italia è stata la chiusura di siti industriali e la riduzione degli investimenti esteri, cioè la fuga dei titolari della “ricchezza”, che non sono più i “padroni ottocenteschi” ma i fondi di investimento i cui titoli sono sottoscritti da milioni di piccoli risparmiatori.
L’Italia si salva con il turismo e l’industria dell’effimero. Ci salvano i mille lavori che i ricchi concedono “graziosamente” ai poveri per provvedere ai lussi e alle raffinatezze. Non esiste legge che possa impedire alle grandi imprese della moda o del lusso di registrare i propri marchi in paesi a fiscalità contenuta. Allorché il governo italiano decide di tassare con balzelli elevati le imbarcazioni dei “ricchi”, costoro trasferiscono i loro panfili in Costa Azzurra con un notevole danno erariale. Quando si alzano le ritenute d’acconto su interessi e dividendi, bisogna prevedere che molti capitali lasceranno il Paese.
Qual è la classe media in Italia? Una prima categoria è quella delle persone che possono organizzarsi, andare sulle strade e imporre i loro diritti ricorrerendo ad atti di forza. Le battaglie di piazza sono ogni volta giustificate dal fatto che gli interessi dei gruppi organizzati sono stati sacrificati dalle politiche governative.
Esistono fasce della società che non sono in grado di organizzare atti di forza, come avviene per i medici e i professionisti in genere, i commercianti piccoli e medi, i proprietari di case acquistate con i sacrifici di una vita, gli artigiani, gli insegnanti, i pensionati. Si tratta delle “categorie deboli”, le cosiddette “classi medie” che i governi non prendono in considerazione. Queste categorie deboli possono solo andare a votare, ma non lo fanno perché sono state disamorate dalla politica: la loro debolezza è l’assenteismo elettorale e, per questa ragione, devono sopportare il maggior carico fiscale.
Questo governo, attraverso la tecnica dell’annuncio per verificare la popolarità della proposta, vorrebbe trovare alcuni miliardi attraverso un contributo “volontario” oppure attraverso la tassazione degli extra redditi delle banche. Il contributo di solidarietà è già stato bocciato dai giudici che ne ordinano la restituzione.
La tassazione straordinaria delle banche presenta serie controindicazioni. Non si tratta solo del fatto che, qualora lo Stato si prendesse una parte dei redditi straordinari dovrebbe essere pronto a coprire le eventuali perdite future della medesima natura. Non si tratta del fatto che i soggetti espropriati siano i milioni di piccoli azionisti che hanno investito nel comparto. C’è qualcosa di molto più grave.
C’è il fatto che gli Istituti bancari sono i più grandi acquirenti del debito statale perché investono in titoli pubblici quasi tutto il loro patrimonio di garanzia sui depositi; e non lo fanno per libera scelta ma sotto la “moral suasion” della Banca d’Italia. Se il sistema bancario perdesse la propria solidità patrimoniale secondo i parametri di Basilea, crollerebbe lo Stato.
La previsione di modificare al rialzo le rendite catastali ed elevarle per il maggior valore dell’immobile derivante dai lavori finanziati dalla mano pubblica, è pura demagogia. Infatti, per cambiare una rendita occorre l’intervento degli uffici catastali che devono esaminare le situazioni dei singoli immobili.
Non esiste una tecnostruttura pubblica in grado di affrontare problemi del genere in tempi brevi, come è dimostrato dal fatto che da almeno trent’anni si parla di aumentare le rendite catastali e dal fatto, laddove non si tratti della solita leggenda urbana, che ci sarebbero quattro milioni di immobili non accatastati.
Esistono inoltre case le cui rendite dovrebbero essere declassate. Infine, ogni modifica delle rendite può avviare un contenzioso di lungo periodo. In conclusione, l’idea che lo Stato possa far conto su maggiori entrate di bilancio per via delle revisioni catastali, è una stupidaggine che allarma le classi medie.
Non è vero che quello italiano sia un popolo di evasori in numero molto maggiore rispetto ad atri Paesi. Dalla nascita alla morte, dall’acquisto della tutina e delle calzette dei neonati fino al momento della sepoltura, l’italiano è perseguitato dall’Iva incorporata in tutti i prodotti e servizi.
Il cittadino è tassato per l’acqua minerale, il gas e la luce, per la benzina, per gli acquisti forzati delle auto che cambiano i requisiti per la circolazione ogni tre o quattro anni, per gli investimenti energetici imposti dall’Europa, e così via fino all’ultimo respiro.
Tutto ciò comporta l’aumento dei prezzi e dà luogo a processi inflattivi continui; è questa la tassa occulta più invasiva di tutti i tempi che colpisce allo stesso modo ricchi e poveri. Queste tasse, accise e imposte non le puoi contestare: puoi solo aggirarle attraverso il sommerso che rappresenta un comportamento certamente illegittimo.
Una domanda: il sommerso dei lavoratori come il pizzaiolo, il cameriere, il bagnino, l’idraulico, l’artigiano, il lavoratore qualunque, è forse più deteriore e censurabile rispetto ai lavoratori che mantengono i propri redditi grazie ad atti di forza organizzati?
Quando si parla di “progressività” dei tributi secondo il principio costituzionale, si intende l’Irpef. L’evasione di questo tributo riguarda tutte le classi sociali. Una percentuale di “nero” tra i 5 e 10% è considerata fisiologica in America e nel resto del mondo.
Il differenziale di evasione italiano si deve alle caratteristiche della nostra economia che produce un minor valore aggiunto rispetto ai paesi che detengono tecnologie più avanzate. L’economia italiana è fatta di “assemblatori” nelle filiere produttive gestite da tedeschi, francesi e americani. Occorre pagare pesanti balzelli alle multinazionali come Apple, Microsoft, Amazon, Tesla, Facebook, per citare le più importanti. Si devono al genio di isolati imprenditori italiani e all’eredità della Prima Repubblica, le poche multinazionali italiane come Luxottica, Ferrero, Enel, Eni, Pirelli e Leonardo.
Il problema dei senza tetto merita particolare considerazione. Le case operaie di una volta, erano destinate a persone con un reddito seppur contenuto, che tuttavia potevano pagare un affitto e tenere il decoro dell’abitazione. Un governo potrebbe pensare ad acquistare sul mercato le case sfitte sulla base dei valori catastali invece che costruirne di nuove, assegnandole a chi ne ha diritto.
Ma cosa fare per le masse di poveri che intende tutelare la Salis, in gran parte immigrati, i quali non sono in grado di pagare affitti o cambiare un rubinetto? E’ evidente che in questi casi si tratta di un problema di carità pubblica, l’unico modo per evitare le tendopoli improvvisate e il degrado dei quartieri cittadini.
Durante il terribile periodo della rivoluzione industriale inglese, che creava poche ricchezze e molta povertà come avviene in parte ai nostri giorni, era prevista una tassa sui capifamiglia destinata agli homeless, tassa che veniva considerata un’assicurazione contro i disordini sociali. Sarebbe questa un’imposta di scopo ad alto valore etico, una strada percorribile affinché l’uomo civile non si trasformi in selvaggio.
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