Test psico-attitudinali magistrati, no senz’appello degli psicoanalisti italiani: “Con quali criteri?”

“Sentiamo il dovere di intervenire sulla decisione del Consiglio dei Ministri del Governo Meloni, di introdurre, nei concorsi di magistratura, la valutazione ‘della verifica dell’idoneità psicoattitudinale di coloro che abbiano superato le prove scritte e orali del concorso in magistratura’, da realizzarsi mediante test o colloqui. Esprimiamo la più decisa disapprovazione e preoccupazione. La nostra critica è soprattutto ‘tecnica’.

Il Disegno di legge sembra infatti proporre una forma di valutazione” del futuro magistrato, “nella presupposizione di una capacità ‘scientifica’ e tecnica di discriminare, attraverso test e colloqui, la specifica ‘idoneità psicoattitudinale’ degli aspiranti magistrati, addirittura in relazione alle specifiche funzioni indicate nella domanda di ammissione”. Così un nutrito gruppo di psicoanalisti membri della Società Psicoanalitica Italiana – tra loro il presidente Sarantis Thanopulos, e oltre 140 tra psichiatri e psicologi – esprime il suo dissenso ai test, con una lettera pubblicata su ‘Questione Giustizia’ , la storica rivista di magistratura Democratica diretta da Nello Rossi.

“Nessun tecnico, anche soltanto minimamente competente in materia, saprebbe in coscienza avallare una simile supposizione o presunzione; e questo – dicono gli psicoanalisti firmatari della lettera – non per un’attuale insufficienza dei nostri strumenti di indagine, ma in ragione di più cogenti criteri metodologici, che impediscono la costruzione di griglie riduttive attendibili, atte a testare funzioni così complesse, che coinvolgono ideali, motivazioni, passioni, interessi, come se si trattasse di mere capacità oggettivamente standardizzabili”.

“Ne conseguirebbe che gli ‘esperti’ esaminatori (da chi scelti, secondo quali criteri?), non avendo alcun vero ancoraggio scientifico per validare i propri giudizi, si troverebbero, nella migliore delle ipotesi, in balìa di suggestioni intuitive ed empatiche; o, più facilmente, sarebbero indotti a surrogare la mancanza di appropriati criteri ordinativi nella propria ‘disciplina’ di competenza con un ‘disciplinato’ affidamento, se non con una subordinazione, all’ordinamento politico del momento. L’operato di simili esperti – concludono gli psicoanalisti – correrebbe così il rischio di adeguare le proprie risposte ‘diagnostiche’ all’aspettativa di quella domanda ‘politica’ che li ha cooptati come suoi funzionari. Il risultato di tutto ciò sarebbe, con tutta evidenza, negativo per la psichiatria, per la psicologia, e altrettanto inopportuno e sfavorevole per la magistratura, per la giustizia e per la cultura del nostro Paese”.

Published by
Warsamé Dini Casali