
(foto Ansa-Blitzquotidiano)
Non si erano mai visti tanti manifestanti in piazza a Roma. Riuniti in tre piazze diverse, con migliaia di persone che non la pensano alla stessa maniera.
Tutti di sinistra? Si, forse, ma non mancheranno quelli che la destra chiama “i salottieri” che fanno finta di essere progressisti.
Il denominatore comune è l’Europa, d’accordo. Ma come la vogliono le migliaia di uomini e donne che si sono dati questo appuntamento? Riarmata o no? Pacifista a tutti i costi, ma anche pronta a difendersi creando un esercito che abbia un obbiettivo comune.
In piazza per dire no alla guerra

Si dice no alla guerra in tutte le lingue del mondo, però nei nostri Palazzi la guerra è in piena attività, non si ferma un attimo, la pausa è un sostantivo che non esiste.
Si litiga a destra come a sinistra per raggiungere quale traguardo? Nemmeno i protagonisti lo sanno, comunque l’importante è mettere con le spalle al muro l’avversario.
Chissà se oggi in queste tre piazze della Capitale si potrà pronunciare la parola pace senza il pericolo di essere sconfessati. Il “must” è andarci per non essere considerato un guerrafondaio. Allora, jeans e giubbotto e via senza la minima titubanza.
Conte ne vuole una tutta per se
Qualcuno a uscire dal coro della sinistra c’è: si chiama Giuseppe Conte ed è il presidente dei 5Stelle. Non ci pensa nemmeno a unirsi a questa schiera perché lui vuole una piazza tutta per sé: il 5 di aprile. Altrimenti come dimostra agli altri colleghi che siedono in Parlamento che è l’unico interlocutore della minoranza in grado di combattere e sconfiggere la destra?
A casa, dunque, i pentastellati, mentre Elly Schlein sarà in prima linea a Piazza del Popolo, dove il grido di battaglia è “We are the Europe”. Va in cerca di consensi la povera segretaria di via del Nazareno, prigioniera delle correnti del suo partito e contestata per la svolta troppo a sinistra del Pd.
Ma le voci sono tante e tutte diverse l’una dall’altra. Piero Fassino non ha dubbi: “I dem non debbono accodarsi a nessuno”; Dario Nardella, l’ex sindaco di Firenze, adirato tuona: “Ora basta divisioni”; Giorgio Gori, ex primo cittadino di Bergamo, ritiene, invece, che “manca il confronto”.
In altre parole: congresso o no? Romano Prodi, il padrino della sinistra, afferma “che non ci possono essere altre strade per un partito democratico”. Degli astenuti che ne pensano i massimi dirigenti del Pd? Non si esprimono. Uno solo, che preferisce mantenere l’incognito, mostra la sua cultura: “Dante Alighieri li confinò nell’antinferno, perché non erano né carne, né pesce”.
E’ logico che in un sabato del genere la destra rimanga chiusa in casa. Nemmeno un giretto distensivo in macchina, vista la grande confusione che ci sarà per le strade della Capitale. Nessuno parla, l’ordine perentorio di Palazzo Chigi è chiudere la bocca. Perché, altrimenti, chi lo fa produce danni.
Per esempio, il sottosegretario alla giustizia, Andrea Delmastro che in una intervista al Foglio, ha criticato la divisione delle carriere”, su cui la Meloni e il guardasigilli Nordio hanno messo la faccia.
Apriti cielo: è nato un caso che ha messo in subbuglio il Parlamento. L’opposizione ha subito lanciato il suo grido d’allarme: “Stavolta a dimettersi dovranno essere in due”. Chi sono è facile indovinarlo, perché lo scivolone è di quelli che lasciano il segno.
Si tenta di correre ai ripari: Delmastro dice di essere stato frainteso dal giornalista del quotidiano che lo ha intervistato. Ma c’è una registrazione che taglia la testa al toro. Il putiferio non si fermerà qui, avrà solo la pausa delle varie manifestazioni e del sacrosanto weekend. Poi, riprenderà a tutto campo.
Riporre le armi della polemica politica? Niente affatto: è un gioco che diverte troppo i protagonisti, nemmeno fosse il Monopoli.
Nel battibecco che non ha mai fine, entrano nuovi protagonisti: alcuni conduttori di una tv che non nasconde la sua predilezione per la minoranza. Organizza dibattiti da mattina a sera, cominciando alle otto e finendo oltre l’ora di cena.
Si dice”: La terzietà non esiste in quei conduttori che vogliono diventare protagonisti a tutti i costi, spesso interrompendo coloro a cui hanno dato la parola. “Più che moderatori, sono i capigruppo dei partiti della minoranza”, accusano le malelingue. Poi, la sferzata finale: “L’Ordine dei giornalisti che fa? E’ scomparso nel nulla?”.