L’avevamo immaginato come sceneggiatura paradossale, iperbolica. Deve invece essere successo davvero: qualcuno in qualche forma deve aver fatto arrivare a Kiev sommessi suggerimenti da Roma. Tipo: sa, presidente, lei ovviamente dirà ciò che vuole. Però, anzi niente però…Però in Italia ci sono tante sensibilità. La parola pace, la parola pace la dica quante volte vuole. E anche basta alla guerra, le siamo grati e riconoscenti per quante volte dirà pace e basta alla guerra. Tank, carro armato, come sa presidente, è parola che mette in ansia. E l’ansia potrebbe diminuire la pienezza dell’ascolto delle sue parole. Poi, perché usare sigle e acronimi che la gente forse ignora e che non sono di immediata comprensione? F16 ad esempio, combinazione di numeri e consonanti che potrebbe confondere e distogliere l’attenzione al suo messaggio di pace…”.
A Kiev hanno capito che…il paese dei cachi
L’espressione calzante è in un titolo de La Stampa: “il paese dei cachi”. Cioè l’untuosità barocca dello sgusciare, svicolare, chiamarsi fuori dando mostra di essere ovviamente dentro. A Kiev hanno capito che la enorme compagnia di giro formata da partiti politici, Rai, quotidiani, intellettuali militanti pro pace, intellettuali sensibili alla cultura russa, talk-show, Sanremo stesso festival nella sua funzione nazional-popolare era, è e resta appunto il paese dei cachi non a caso a suo tempo cantato a Sanremo. Che dal paese dei cachi veniva l’ipocritamente grottesca e grottescamente ipocrita proposta-preghiera-suggerimento di un appello televisivo del presidente di un paese in guerra perché aggredito e dalla guerra massacrato ogni giorno da un anno che però non fosse, per carità, intriso di guerra. Ma fosse un messaggio di pace.
Il sogno del paese dei cachi è, neanche tanto nascosto, quello di un Zelensky o chi per lui che annuncia: cessate il fuoco, l’Ucraina si è arresa. A Kiev hanno capito e, se non fosse che sono in guerra( guerra di estinzione a danno del loro paese) e hanno bisogno di tutto e tutti per sopravvivere, avrebbero risposto ai suggerimenti venuti da Roma con un anglosassone “fa nulla, grazie lo stesso” o con un più caldo, latino, dovuto e proporzionato diplomatico “vaffa”. Siccome sono cortesi e disperati, a Kiev hanno deciso che Zelensky a Sanremo non ci sarà in collegamento, né in diretta né in registrata. Manderà un testo, magari da leggere.
Amadeus, luci basse e musica di fondo?
Poiché al grottesco, soprattutto quello minuettato dalle compatibilità para politiche, non c’è mai fine, ecco la scena che si prospetta: Amadeus che legge con voce e tono (piatti, accorati, declamatori?) il testo di Zelensky mentre luci abbassate (?) e base musicale di fondo (?). Previsto o no applauso finale? Giornalisti e giornali eserciteranno diritto e abitudine all’applausometro? L’effetto sarà quello di un comunicato della Protezione civile letto da speaker-testimonial cui chi ascolta non dà nessuna retta fino a che la frana non gli arriva sotto casa? Quale che ne possa essere l’effetto, il fatto è che il paese dei cachi non regge quel che l’Italia fa: aiutare in armi l’Ucraina a combattere la Russia. Non lo regge culturalmente, non lo regge moralmente. L’Italia che fa il suo dovere nella difesa della libertà e della e delle democrazie lo deve fare dissimulandolo. Dissimulandolo non agli alleati, dissimulandolo alla sua stessa gente, agli abitanti e cittadini del paese dei cachi.
Premio di consolazione: non a Sanremo ma a Bruxelles
Per Zelensky respinto a Sanremo piccolo premio di consolazione: probabilmente oggi stesso accolto a Bruxelles, al vertice della Unione Europea. Ma vuoi mettere? Bruxelles, cioè grigiore, burocrazia. E Unione Europea, buona quella: la cosa migliore che può fare è non far nulla…Per Zelensky la noia di un viaggio a Bruxelles per prepararsi insieme ai paesi della Ue alla guerra più vasta, intensa e massiccia di quanto sia stata finora. Perché la Russia sta lanciando la nuova offensiva e governi e nazioni europee devono scegliere e decidere se arrendersi o combattere.
C’è la guerra, e io mi scanso
Vada, vada Zelensky a Bruxelles a parlare di guerra, noi del paese dei cachi suoneremo le nostre canzoni come suggerisce Salvini, faremo echeggiare sul palco cento, mille volte la parola pace, come prescrive Conte, e renderemo omaggio pieno ad un nostro grande antenato, avo e nume in tema di responsabilità civile e morale: Ponzio Pilato. O, su scala minore certo quanto a qualità m non infima quanto a diffusione e consenso, celebreremo almeno a Sanremo il successo dell’imperativo etico di un antico Pierino in ingenue barzellette. Quello del tema in classe: passa il treno. Svolgimento “E io mi scanso”. Ecco, c’è la guerra. E io mi scanso. Almeno a Sanremo. E non è una barzelletta, è lo spirito della nazione. Almeno a Sanremo.