Cop28, sipario calato a Dubai: il vertice mondiale sul clima (30 novembre-12 dicembre 2023) ha chiuso mestamente i battenti. La vera svolta green è rinviata a all’anno prossimo (Baku, Azerbaigian) o a Belem (Brasile) nel 2025.
Il Cop 28 ha confermato quello che si sapeva: molti lobbisti, pochi attivisti, tanti giovani (770.000), troppi delegati (80.000). Il solito carrozzone. Assenti i principali leader dei Paesi che emettono CO2 e altri gas serra come Cina, Stati Uniti, Russia.
Risultato dopo 2 settimane di lavoro: è saltato il tabù sulla benzina, cancellata dalla bozza l’eliminazione dei combustibili fossili, l’attesa parola “cancellazione” si è persa per strada. Morale: la mediazione ottenuta dispiace a tanti perché la rinuncia ufficiale al petrolio, e ai suoi derivati, sarà molto lenta. Ira di Washington e Bruxelles. Ha sintetizzato il presidente della Cop 28: “Abbiamo fatto progressi ma c’è ancora molto da fare”. Lo scontro sulla eliminazione dei combustibili fossili nella dichiarazione finale della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ha testimoniato la frattura che c’è ormai da anni.
Da un lato ci sono i Governi Occidentali e in particolare l’Unione europea che “premono per una transizione ecologica, la più rapida e radicale possibile” ( Francesco Giubilei dixit), Dall’altro i Paesi in via di sviluppo e soprattutto alcune Nazioni produttrici di fossili che spingono per rallentare, se non addirittura fermare del tutto, il processo di transizione.
Le posizioni espresse in questi giorni dai Paesi dell’Opec, in testa Iraq e Arabia Saudit, testimoniano il tentativo di evitare una completa eliminazione dei combustibili fossili. Sostengono, questi Paesi, che non è il momento di abbandonare le fonti fossili perché ciò produrrebbe un danno alla economia mondiale. Tuttalpiù questi Paesi sono per una “eliminazione graduale” dei combustibili fossili.
L’incontro di Dubai organizzato dall’Onu è partito con il botto, cioè con l’approvazione di un fondo di compensazione per i danni del clima. Poi le negoziazioni si sono arenate. Un risultato però c’è stato: l’impegno sottoscritto da 118 Paesi per triplicare le rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030. La regia è stata curata da Europa, Stati Uniti ed Emirati Arabi. Tra i firmatari anche Brasile, Nigeria, Australia, Giappone, Canada.
Venti Paesi hanno firmato una dichiarazione con cui si chiede di triplicare il ricorso alla energia nucleare entro il 2050 e di riconoscere ufficialmente il ruolo dell’atomo nel raggiungere le zero emissioni nette. Tra i firmatari: Francia, Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud, Marocco, Polonia, Romania, Svezia, Ucraina, Emirati Arabi.
Il vertice per il clima ha registrato 80.000 partecipanti, nuovo record che praticamente raddoppia il precedente di Sharm el Sheik (50.000). E questo si è rivelato un problema molto serio per gli organizzatori. A Baku sono già preoccupati: troppi delegati. Per non parlare dell’esercito dei lobbisti in grado di mettere pressione ai governi e ai negoziatori. A Dubai se ne sono contati 2.456. Troppi.
La segretaria del Pd, in collegamento dall’Italia ha presentato le proposte sul clima. In sintesi: stop a nuove trivellazioni e più aiuti economici per le fasce deboli. Per il governo il ministro Picchietto Fratin ha concluso: “Serve uno sforzo ulteriore per un accordo più ambizioso”.
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