La repressione che la Repubblica islamica sta portando avanti contro il suo popolo potrebbe spingere sempre più iraniani a lasciare il loro Paese, seguendo le rotte dell’immigrazione illegale. Tra i migranti presenti sul barcone naufragato lo scorso 26 febbraio a un centinaio di metri dalla costa crotonese c’erano anche persone provenienti dall’Iran, che, come altri connazionali precedentemente, hanno percorso la rotta turca. Se il regime dovesse proseguire sulla linea del soffocamento delle rivolte e la condizione economica dovesse peggiorare, tanto per le sanzioni quanto per la corruzione e le malversazioni interne al sistema, il numero degli iraniani in fuga sarebbe destinato a crescere, con un impatto sempre più significativo sui flussi migratori verso i confini Europei.
Ne abbiamo parlato con l’analista geopolitico italo-iraniano Nima Baheli.
Quale ripercussione potrebbe avere la repressione del regime a livello di flussi verso l’Europa?
NB: “Alla luce della situazione attuale, con le proteste che continuano da vari mesi e con il fatto che la Repubblica islamica ha cercato un punto di mediazione con le amnistie, ma poi nella pratica non c’è stata un’effettiva mediazione, con l’accettazione di alcune istanze che gli oppositori hanno presentato, è prevedibile, come il recente naufragio ha dimostrato, che i flussi di migranti clandestini iraniani possano aumentare. Finora sono stati minimali e si trattava principalmente di minoranze etniche, come i curdi. Ma a fronte della difficoltà di ottenere un visto, anche per coloro che ne hanno diritto, è presumibile un aumento di arrivi dalla rotta turca. L’Italia non è ritenuta un punto finale di arrivo perché la maggior parte di loro mira ad arrivare in Germania o nei Paesi scandinavi”.
Perché la rotta turca è quella più battuta dai migranti?
NB: “Perché resta la via più semplice, non serve il visto. Dalla Turchia, o seguono la rotta balcanica, via terra, più problematica per via dei visti, o quella della circumnavigazione dell’Egeo, arrivando sulle coste pugliesi o calabresi. In entrambi i casi tramite trafficanti. Normalmente viene fatta con dei caicchi, delle barche leggermente più sicure rispetto a quelle che partono dall’Africa. Ma quella dell’ultimo naufragio ha comunque preso gli scogli con l’esito che conosciamo. Per gli iraniani questa scelta è ancora minimale perché cercano vie più o meno ufficiali, ma c’è il rischio che la situazione cambi con i problemi economici e sociali. Il problema potrebbe toccare anche persone che fanno parte della classe media, non più solo le minoranze”.
La notizia del naufragio di Cutro ha avuto spazio sui media iraniani?
NB: “E’ stata coperta dai canali satellitari, hanno parlato della tragedia, spiegando che avevano perso la vita anche cittadini iraniani. Sui giornali no, ma non per motivi di censura, forse, solo perché è una notizia lontana. Tuttavia, canali come Iran International ne hanno parlato.
Come commenta le parole del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sull’assenza di senso di responsabilità dei migranti che si imbarcano con i figli?
NB: “Da un punto di vista razionale potrebbe avere ragione, ma in un momento di disperazione non si può fare questo ragionamento. Se hai deciso di partire, lo fai, perché ci sono tante questioni che ti spingono a farlo. Chi è costretto, come le persone che vengono dall’Afghanistan o dalla Siria, da contesti di guerra, non hanno scelta. L’Iran ancora non rientra in questa categoria. Nel caso dell’Afghanistan e della Siria dovrebbero esserci dei corridoi umanitari in Turchia, almeno per i richiedenti asilo. I migranti economici sono un’altra questione. Gli iraniani ancora non rientrano in questi parametri. Consideri che in Europa circa un terzo delle domande di asilo vengono accettate”.
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