Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha accettato di posticipare la riforma della giustizia. Una decisione necessaria per tenere a bada quello che sembra essere il più grande movimento di contestazione nella storia del Paese. “La crisi obbliga tutti ad agire con responsabilità”, ha detto il primo ministro nel suo ultimo discorso alla nazione questo pomeriggio. Il leader del Likud ha chiesto alle piazze in rivolta “responsabilità” e di “non cedere alle provocazioni”.
Dopo il licenziamento del ministro della difesa Yoav Gallant, reo di essersi schierato a favore del fermo della riforma, la protesta si era allargata negli ultimi giorni. Lo stesso presidente Herzog aveva chiesto al premier lo stop dell’iter legislativo, contro il quale si oppone Otzma Yehudit, partito di estrema destra, che fa parte della coalizione del governo Netanyahu VI.
Nelle scorse ore Ben Gvir, leader di OY, ha accettato di essere disponibile a rinviare la riforma fino alla ripresa della Knesset, dopo la Pasqua ebraica, a patto che il governo esamini subito la creazione di una ‘Guardia nazionale‘ sotto la guida dello stesso Gvir. Anche l’estrema destra intanto è scesa in piazza, dove si scontrano due volti di Israele: la parte laica e moderna del popolo e quella conservatrice. Da parte sua Netanyahu ha aggiunto che, in un modo o nell’altro, alla fine la riforma della giustizia passerà. Tuttavia, un mancato accordo tra le parti contrapposte metterebbe a rischio l’unità dello Stato ebraico e la tenuta stessa del governo.
Perché i manifestanti protestano in Israele contro la riforma della giustizia
I manifestanti sostengono che la riforma della giustizia tolga poteri di controllo alla Corte suprema per affidarli al governo. Questo rappresenterebbe un pericolo per la democrazia israeliana, perché priverebbe il governo di un contrappeso al potere esecutivo. Israele non ha una vera Costituzione e nella sua storia la Corte si è trovata a prendere decisioni che di fatto costituivano precedenti di rango costituzionale. Nel corso degli anni ha emesso sentenze su temi cruciali, facendo scuola sulle leggi che poi il parlamento avrebbe adottato. Resta un’istituzione che gode di grande fiducia sia da parte degli ebrei che degli arabi.
Chi supporta la riforma ritiene che sia necessario un ribilanciamento dei poteri statali, dopo che negli ultimi decenni gli assetti attuali avrebbero favorito eccessivamente il potere giudiziario, amplificando troppo la capacità d’intervento della Corte suprema in svariati ambiti. Oltre a indebolire l’organo statale, la riforma darebbe maggiori garanzie alla figura del primo ministro, il quale non rischierebbe di essere rimosso per procedimenti giudiziari a suo carico. Affiderebbe inoltre dei poteri ai tribunali rabbinici, che avrebbero l’autorità per dirimere alcuni procedimenti civili qualora entrambe le parti fossero d’accordo.
Proteste contro una riforma antidemocratica o proteste contro il potere di Netanyahu?
“Quello che sta succedendo con queste proteste è che c’è una forte rappresentanza di persone che sono schierate contro Netanyahu”, spiega David Hazony, editorialista del Jerusalem Post nel corso di una puntata del programma di Radio24 Nessun luogo è lontano. “In loro sta crescendo la graduale consapevolezza che la riforma non rappresenta solo un rimedio al potere eccesivo del sistema giudiziario, ma costituisce un eccesso”, aggiunge. Dunque siamo davanti a due fronti: quello degli oppositori politici “storici” e quello dei nuovi, tra i quali potrebbero esserci ex sostenitori del primo ministro.
“Il quadro generale che emerge è che Netanyahu non sta cercando di bilanciare gli eccessi del potere giudiziario, ma sta creando uno sbilanciamento dall’altro lato. E’ vero che c’è uno schieramento di lealisti pro Bibi, ma c’è sempre più gente che lo ha sostenuto, senza essere ultra lealisti, i quali però ritengono che nel contesto politico attuale abbia intrapreso un cammino per abbattere la struttura attuale del governo e ricostituirla in un modo che gli permetta di rimanere al potere. Ecco perché oggi assistiamo a questa immensa massa di oppositori”, sottolinea Hazony.
Per i palestinesi si tratta di una battaglia intraebraica
Come la società palestinese sta guardando a queste proteste. “Non ho visto alcuna partecipazione attiva dei palestinesi che abitano in Israele a queste proteste. C’è stato qualcosa ma non parlerei di partecipazione arriva”, ha detto a Radio24 Hamada Jabar, analista politico palestinese da Ramallah. “Quando si tratta di diritti dei palestinesi non c’è differenza sostanziale tra il governo attuale e qualsiasi altro governo al potere in Israele – ha aggiunto – Quello che sta accadendo è uno scontro tra la parte della società israeliana più secolarizzata e quella invece più religiosa, anzi direi estremista. Dal punto di vista dei palestinesi, maggioranza e opposizione sono la stessa cosa”.