
La Cina e la perdita di competitività dell’Occidente: partita a tre, Europa e USA litigano, indovina chi vincerà? - Blitzquotidiano.it (il leader cinese Xi nella foto Ansa)
La Cina e la perdita di competitività dell’Occidente: una partita a tre, Europa e USA litigano, indovina chi vincerà?
Will Durant, forse il più grande storico e filosofo americano del secolo scorso, affermava che “quando due nazioni sono in competizione per gli stessi mercati, quella che ha perduto terreno nel campo economico, se è la più forte per armamenti, ha sempre fatto guerra al suo nemico”.
Secondo questa teoria, il più pericoloso perturbatore della pace nel mondo, sarebbe oggi la Federazione degli Stati Uniti d’America guidata da Trump. La Cina comunista dovrebbe pensare a difendersi da possibili attacchi nucleari degli americani, investendo ancor più in armi e strumenti di deterrenza militare.
E’ indubbio che la competizione commerciale tra Cina e Usa sia stata vinta dalla prima. Non esiste prodotto alimentare, informatico, industriale, fabbricato negli Usa che costi meno di quello “analogo” cinese. Perfino l’intelligenza artificiale cinese è più conveniente di quella americana. Una macchina elettrica come la Tesla di Musk, costa il doppio di quelle prodotte in Cina ed è rifiutata dagli acquirenti cinesi che la ritengono tecnicamente superata.
Nonostante il capitale investito da Musk, nonostante che in America il costo dell’energia e delle materie prime sia abbastanza contenuto, la Tesla è stata un flop commerciale perché i fattori della produzione (l’immaginativa, la capacità di innovazione, di organizzazione e il livello professionale dei dirigenti industriali) esistenti in Cina, si sono dimostrati di livello superiore. In una parola, la “produttività” dei cinesi è risultata “superiore” a quella americana.
Produttività, da dove deriva

La stessa condizione di “minor produttività” rispetto alla Cina si sta verificando in Europa. Il sogno degli europei che vedevano nella Cina un mercato inesauribile di esportazione, si è ormai infranto.
Se dovessimo applicare i principi liberisti dell’economia di mercato, europei e americani avrebbero interesse a investire capitali sul mercato cinese abbandonando i mercati nazionali degli stessi paesi “democratici”.
Andando più a fondo scopriamo che la mano d’opera è un bene di scambio, in quanto esiste per essa una domanda, un’offerta e un prezzo e che in Cina puoi trovare masse di lavoratori tecnicamente preparate a prezzi più bassi che in Occidente.
In conclusione, il livello del maggior benessere dei lavoratori cinesi di oggi, rispetto all’epoca di Mao, si deve unicamente alla loro maggior produttività come “sistema paese”.
Eppure, agli inizi di questo secolo, si riteneva che occorressero tre lavoratori cinesi per ottenere una quantità di lavoro equivalente a quella di un operaio americano. In soli venticinque anni il rapporto si è invertito e oggi in Cina si possono trovare tecnici specializzati al pari di quelli europei e americani. E ciò riguarda altre grandi nazioni. Le nostre imprese trovano più conveniente chiedere servizi on line agli ingegneri e matematici indiani, ritenuti più bravi e affidabili di quelli laureati in Italia.
Trump vuole far credere agli americani che il loro benessere, è insidiato dai lavoratori cinesi con i quali essi sono in concorrenza, e che il problema si possa risolvere attraverso una politica di protezionismo. La Cina avrebbe copiato la tecnologia Usa, avrebbe creato da zero la classe dirigente mandata a studiare nelle migliori università americane e sarebbe così diventata un paese “tecnologico” e competitivo.
Gli americani dimenticano che le basi della loro potenza tecnologica e scientifica derivano dall’Europa. Per restare nel militare, dalla scissione dell’atomo, alla bomba atomica, ai missili, gli americani hanno utilizzato le scoperte di scienziati italiani e tedeschi, senza tanto riguardo per il fatto che si trattasse di nazisti.
La maggior parte delle leggi che governano la trasformazione dell’energia, la struttura fisica e chimica della materia, il comportamento dell’elettricità, della luce, del magnetismo, sono arrivate in America dall’Europa. Insomma, il debito “storico” degli americani verso l’Europa è analogo al “credito” degli americani verso la Cina.
La realtà è che oggi le conoscenze scientifiche si trasmettono in tempo reale. Ad esempio, gli americani ci vendono le apparecchiature mediche e sorgono subito ditte italiane in grado di fabbricarne di analoghe, non sempre pagando il brevetto. I cinesi sono restii a pagare brevetti esteri, si limitano a clonare i prodotti.
Per Trump siamo dei parassiti
Secondo Trump, anche l’Europa sarebbe parassitaria dell’economia americana. Tale affermazione deriva da una visione miope e limitata dei rapporti tra i due “continenti”. Il commercio tra Europa e America non è fatto solo di automobili, vini e champagne. Ma anche di investimenti e di tecnologia militare e civile. Per concludere se un paese è parassita dell’altro, non basta guardare ai singoli settori ma bisogna considerare l’intero giro d’affari.
A questo punto si apre una discussione: l’Europa deve replicare con decisione alla politica dei dazi avviata da Trump o deve muoversi con pazienza e diplomazia per non indispettire il tycoon, come vorrebbero la Meloni e Salvini?
In linea di principio, una trattativa dovrebbe essere europea, perché è necessario mettere sul tavolo tutti i rapporti commerciali tra America e Europa per fare le somme e capire quali siano i settori complessivamente avvantaggiati o sacrificati.
Il giusto principio della trattativa globale dei dazi da parte dell’Europa finirebbe comunque per danneggiare alcune Nazioni europee favorendone altre. Alla fine le uniche trattative possibili saranno quelle tra singoli Stati Europei e l’America. La “politica” della Von Der Leyen di accentrare la trattativa applicando “controdazi” europei, non avrà alcun effetto concreto.
La Cina ci insidia
Americani ed Europei dovrebbero smetterla di litigare fra loro e dovrebbero cercare di capire per quale ragione le loro classi lavoratrici hanno perso capacità imprenditoriale rispetto alla Cina.
Gli Europei non hanno una strategia politica di difesa rispetto alla Cina e continuano a blaterare che la maggior produttività deriva dal fatto che i cinesi non devono sopportare i costi della democrazia. Il fatto che gli italiani acquistino volentieri dagli empori cinesi o si servano di parrucchiere con occhi a mandorla,è visto come fenomeno naturale e inarrestabile.
Quando si fa rilevare che il gap tra i due sistemi deriva dalla rapidità delle scelte nella catena decisionale politica ed economica, i “democratici” affermano che un sistema senza libertà non vale la pena di essere vissuto.
Insomma, una burocrazia occidentale costerebbe più di quella cinese, per il fatto che una dittatura non concede le libertà individuali.
Questa teoria è semplicemente falsa, costituisce un comodo alibi all’inazione, perché non esiste una democrazia che sia obbligata a sostenere maggiori costi per le burocrazie o per garantire i diritti civili previsti dalle Costituzioni occidentali.
Anzitutto, in Europa l’efficacia dei sistemi politici e delle burocrazie è diversa da paese e paese e l’Italia è considerata il fanalino di coda.
Inoltre, esistono democrazie occidentali che “funzionano” come il Canada, l’Australia e il Giappone. Nonostante le frequenti crisi di governo, i giapponesi hanno una Costituzione più liberale della nostra, che garantisce i diritti dell’uomo e del cittadino. Il paese “gira”, pur non disponendo di risorse naturali al pari dell’Italia. Gli scioperi sono rari, le polizie e le burocrazie svolgono il proprio ruolo con l’efficienza che deriva da antiche tradizioni.
Anche il Giappone è considerato un paese di vecchi e per questo, ad esempio, un medico può scegliere di esercitare la professione fino a ottanta anni.
Il Giappone ha rinunciato ad avere un esercito e tuttavia sta subendo dagli Usa le stesse pressioni fatte all’Europa per garantire la stabilità della regione indo-pacifica e per rispondere alle minacce della Cina e della Corea del Nord. Imponenti investimenti militari sono stati decisi dal governo giapponese nonostante una Costituzione che li proibisce.
La forza della Cina è lo spirito di combattività delle imprese e dei lavoratori cinesi; la debolezza dell’Occidente è la ricerca di sicurezza.
L’esistenza di attitudini agonistiche è una caratteristica molto spiccata presso certi popoli in determinate epoche. L’impulso agonistico può dipendere dall’età di un popolo, cioè dall’età media dei suoi abitanti e dall’età di un popolo come entità sociale. II primo dato è significativo, perché i giovani sono attratti dalla lotta, mentre gli anziani attribuiscono maggior importanza alla sicurezza.
L’età di un popolo, in quanto entità sociale, è importante perché la storia sembra indicare che quando una società è esistita in un certo luogo per un lungo periodo di tempo e senza mutamenti radicali nella propria struttura, vi è una tendenza, per le classi economiche sociali e per gli individui e le famiglie che vi appartengono, a procurarsi posizioni precostituite e protette. Comunque, l’apparente declino dello spirito individuale di lotta manifestatesi in alcuni paesi dell’Europa occidentale negli ultimi decenni, deve, almeno in parte, essere spiegato su basi evoluzioniste.
L’involuzione della classe politica in Europa, incapace di garantire governi durevoli e credibili, è il risultato della caduta dei valori e dei partiti. Non esistono più leader capaci di motivare le masse e individui disposti a rischiare per affermare le proprie idee.
Le “masse politiche” sono formate da “replicanti”. Il replicante va sempre minacciato e rassicurato, si pone al servizio di chi gli propone vantaggi, ma è pronto a rinnegare il principe quando questo non servirà più ai suoi scopi.
Il “replicante” è portato ad esasperare il conflitto con l’avversario e a renderlo permanente. Allorché il vessillo si abbassa emerge tutta la sua fragilità: ecco allora la fuga alla ricerca di una qualche organizzazione che gli possa ridare la sicurezza perduta. Il “replicante” esiste in quanto appartiene; egli non è in grado di pensare perché si identifica e tende a far parte del branco, ad abbracciare la morale prevalente purché gli sia consentito di perseguire i propri obbiettivi, che arriva a odiare o esaltare le persone a semplice comando del capo, evitando ogni confronto diretto.
Questo “fanatico” intruppato non studia e non approfondisce: si limita a leggere i testi che gli danno conferma del proprio “pensiero”. Gli attuali travasi di massa nell’ambito delle formazioni partitiche italiane costituiscono una esemplificazione tangibile di questo personaggio che impedisce il rinnovamento etico e politico del nostro Paese.