Senza nemmeno aspettare i risultati definitivi, inadendo lo spazio tv della diretta calcistica, Emmanuel Macron, approfittando delle enormi prerogative presidenziali, ha sciolto l’Assemblea Nazionale e fissato le date del voto per le elezioni legislative al 30 giugno e al 7 luglio per i ballottaggi.
Inaudito in Francia. Fedele al profilo “jupiterien”, da re Sole abituato a dare le carte, si gioca il tutto per tutto. Una mossa da giocatore di poker, sia per chi ne è rimasto impressionato sia per chi ne denuncia l’azzardo. Va a vedere. Va a vedere se davvero la Francia vuole affidarsi a Le Pen. E, nel caso, va a vedere, e vuol far vedere ai francesi, cosa è capace di fare l’estrema destra al governo. Perché, è chiaro, in Francia il potere brucia chi ce l’ha e tre anni di coabitazione (le elezioni presidenziali ci saranno nel 2027) non lascerebbero indenni nemmeno gli ex “paria” della politica francese.
La situazione è caotica, imprevedibili le conseguenze, la parola sta agli elettori. Che potrebbero presto essere di nuovo convocati. Il politologo francese Marc Lazar non esclude un’ipotesi ancora più estrema: Macron porebbe anche decidere di dimettersi, per poi ripresentarsui, visto che il suo secondo e ultimo mandato è durato appena due anni.
Nel frattempo è cominciata subito la guerra dei posizionamenti per la campagna elettorale-lampo Con la maggioranza di governo che cerca di isolare il Rassemblement National di Jordan Bardella – che guiderà la campagna dei suoi ma non si presenterà personalmente candidato – e la gauche che studia e propone varie forme di “fronte” per unirsi non soltanto di fronte all’ipotesi dell’estrema destra al governo ma anche a una vittoria dei macroniani.
Gli schemi politici sono stati scompaginati da quello che viene definito “la giocata da poker” di Macron, che ha gettato la Francia in una situazione di grande incertezza. I tempi sono stretti e l’appuntamento elettorale arriva a ridosso delle Olimpiadi, che cominciano il 26 luglio. Macron ha scritto stamattina su X che “il popolo francese farà la scelta più giusta”.
Lo sconvolgimento elettorale di ieri sera si è concluso con il conteggio definitivo dei voti 31,36% al Rassemblement National di Bardella, 14,60% alla macroniana Valérie Hayer (Renaissance), 13,83% a Raphael Glucksmann (PS-Place Publique). Il partito lepenista, grande vincitore, ha annunciato di non voler fare alleanza con altri partiti – come Reconquete! di Eric Zemmour e Marion Maréchal – ma di voler proporre una “piattaforma elettorale” aperta a tutti senza steccati politici.
Stéphane Séjourné, ministro degli Esteri e capo del partito macroniano di Renaissance, ha lanciato un appello “alla mobilitazione di tutte le forze repubblicane”, lasciando intendere una politica reciproca di desistenza che potrebbe essere varata in accordo con i Républicains.
A sinistra le proposte fioriscono ma la divisioni fra i partiti sono profondissime, in particolare quelle fra socialisti e La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon e François Ruffin. Quest’ultimo, insiste con la sua proposta di “fronte popolare” di tutte le sinistre unite. Ha già aderito il segretario socialista Olivier Faure ma sottolineando che “il rapporto di forze è cambiato” con la vittoria della lista di Glucksmann che ha largamente superato La France Insoumise guidata da Manon Aubry (9,89%).
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