Premierato, aberrazione italiana, il sogno di Giorgia Meloni (e Casellati) perde i pezzi

Il premierato è malato? Per carità, non è grave, ma è sicuro che un po’ di febbre l’accusa. Meglio prendere una Tachipirina per evitare spiacevoli conseguenze.

Tutti ormai sanno che cosa voglia significare questo “ribaltone” che Giorgia Meloni definisce la madre di tutte le riforme. Con l’elezione diretta del presidente del consiglio si vuole dare una maggiore stabilità al governo.

Dunque, il premier sarà eletto direttamente dal popolo così da rimanere a Palazzo Chigi per cinque anni. Il tempo di poter governare con tranquillità e dare al Paese un futuro migliore. Perché la Meloni conferisce al premierato una fondamentale importanza? La si può desumere dai numeri.

Dal 1946 ad oggi l’Italia ha avuto 67 governi con 30 presidenti del consiglio che hanno potuto guidare l’Italia al massimo 414 giorni, cioè a dire meno di un anno e due mesi. Giusto, quindi, trovare un nuovo equilibrio?

La maggioranza non ha dubbi, la minoranza alza subito le barricate perchè ritiene che la mossa sia l’anticamera di un’autocrazia: i poteri del capo dello Stato verrebbero ridimensionati tanto da contare nulla o quasi. Si toglierebbe al garante della democrazia l’arma che impedirebbe una qualsiasi deriva.

Non è solo questo il malanno che affligge il premierato. E’ logico che l’opposizione si opponga a una vera e propria riforma della Costituzione che la metta completamente fuori gioco. I siluri, e che siluri, arrivano pure dagli amici di Giorgia (o presunti tali). Insomma, per essere più chiari, dagli altri due partiti che appoggiano l’esecutivo di centro destra o di destra centro.

Per quale ragione ci si potrebbe chiedere? Nella Lega chi scalpita di più è il solito numero uno, vale a dire Matteo Salvini, il quale ha paura che in questo modo la Meloni prenda troppo potere e lo lasci quasi a mani vuote.

Se nella maggioranza ci sono spesso scricchiolii è proprio perché il capo del Carroccio non gradisce un ruolo secondario. E’ dai tempi del Papete che Salvini sogna di sedere sulla prestigiosa poltrona di Palazzo Chigi.

Oggi, insieme con Tajani, è solo il numero due, ma non per questo rinuncia e fa marcia indietro. Ecco perché, forse, a lui non dispiacerebbe che la madre di tutte le riforme resti solo un disegno sulla carta e niente più. 

Forza Italia è meno aggressiva, ma non per questo si sente tranquilla e dorme su quattro guanciali. Se Giorgia Meloni dovesse ottenere tutto quello che la riforma le concede, che fine farebbero gli eredi dei berluscones? Il partito del premier potrebbe mangiarsi con un sol boccone gli esponenti di quella forza ridotta ad essere un cespuglio nella triade del governo cambiato dal premierato. I pericoli potrebbero nascondersi dietro l’angolo anche perché oltre che in Italia pure in Europa il presidente potrebbe raggiungere e forse superare il trenta per cento dei consensi.

Proprio perché soffre, il premierato ha subìto alcune modifiche. Innanzitutto il mandato non può superare più di due legislature: in questo caso si andrebbe difilato a nuove elezioni. Poi, il premio di maggioranza previsto dalla riforma del 55 per cento è stato accantonato e sostituito con un vago riferimento.

Probabilmente Giorgia Meloni sperava di ottenere di più. Per ora deve fare buon viso a cattivo gioco per evitare il ripetersi di certi fenomeni che hanno reso l’Italia così fragile da un punto di vista della governance. I 67 governi succedutisi dal 1946 ad oggi ne sono una dimostrazione lampante. Si aprivano le urne, il popolo sovrano andava a  votare scegliendo una qualsivoglia maggioranza. Dopo di che iniziavano i giochi di Palazzo e si finiva col creare un esecutivo lontano anni luce dai desideri degli elettori. 

Per fortuna tutto questo non potrà avvenire nelle importantissime elezioni europee del prossimo giugno. Si voterà con il sistema proporzionale e quindi sarà vietato qualsiasi accordo sottobanco. Chi avrà più voti vincerà e non ci saranno sorprese. Quelle che anche oggi con il governo di centro destra non mancano.

Alla Rai, si era creato un fronte “antimeloni” per le troppe cariche date agli amici a cui avevano aderito tutti i partiti dell’opposizione. Poi i 5Stelle hanno ottenuto una condirezione e non parteciperanno al sit-in di viale Mazzini organizzato dal Pd.

Stesso discorso per il teatro di Roma. Si era scelto Luca De Fusco, gradito alla destra e si è creato un putiferio. Ora le acque si sono calmate perché tra il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano e il sindaco di Roma Roberto Gualtieri si è aperto un dialogo che farà cessare le polemiche. 

Se il premierato dovesse subire ulteriori modifiche saremmo da capo a dodici? In parole semplici il popolo che vota avrebbe sempre minore importanza?

 

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Bruno Tucci