
Putin come Stalin, vuole rifare Yalta e disegnare il mondo come vuole lui (foto Ansa) - Blitz Quotidiano
Putin non intende niente di meno che riorganizzare il mondo, così come Stalin fece con gli accordi stretti con Roosevelt e Churchill a Yalta.
Sono parole pesanti anche se appaiono sempre più vere. Le ha scritte sul New York Times (e rilanciate in Italia Repubblica, nella traduzione di Marzia Porta) Masha Gessen, scrittore e giornalista nato in Russia e rifugiato negli USA, trans che usa il pronome “loro” riferito a se stesso.
Un vecchio obiettivo di Putin

È da tempo che Putin vuole ridisegnare il mondo, e Trump gli sta porgendo il coltello per farlo, afferma Gessen.
Sono più di dieci anni che Putin, Lavrov e una squadra di propagandisti del Cremlino e di storici revisionisti non fanno che parlare di Yalta. Nel 2014, dopo aver illegalmente annesso la Crimea, il presidente russo prese parte a un evento che celebrava il settantesimo anniversario di quegli accordi, culminato con l’inaugurazione di un monumento dedicato proprio ai tre leader alleati.
Da Yalta un assetto di sicurezza in Europa
La sua ammirazione per gli accordi di Yalta va oltre la glorificazione dell’Unione Sovietica e di Stalin, all’epoca potenti; egli crede infatti che l’accordo raggiunto da quei tre leader (che lasciava all’Urss i tre stati Baltici che aveva annesso, più alcune regioni di Polonia e Romania, e che in seguito gli avrebbe assicurato il controllo su sei Paesi dell’Europa orientale e centrale e parte della Germania) continui a essere l’unico assetto legittimo per i confini e la sicurezza europea. Alexander Dugin, un sedicente filosofo che ha spesso fornito a Putin il linguaggio ideologico con cui legittima le proprie iniziative politiche, ha concesso una lunga intervista a Glenn Greenwald, giornalista americano che un tempo propendeva per la sinistra. In quell’occasione, Dugin ha spiegato affabilmente il motivo per cui la Russia ha invaso l’Ucraina: perché, pur volendo e avendo bisogno di rivendicare i suoi antichi possedimenti europei, poteva realisticamente ambire ad occupare solo l’Ucraina. Ha poi indicato diverse vie per porre fine alla guerra. Come minimo, ha detto, la Russia esigerebbe la suddivisione, la demilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina. E, nel dirlo, ha volutamente impiegato lo stesso linguaggio che gli Alleati usarono a Yalta a proposito della Germania.
Su X, dove nelle ultime settimane è stato iperattivo, Dugin è addirittura più esplicito. Alla vigilia delle elezioni tedesche della scorsa settimana, ha infatti postato: “Votate AfD o occuperemo nuovamente la Germania e la spartiremo tra Russia e Usa”.
Zelensky si rende conto dell’enormità della minaccia rivolta non solo al suo Paese ma a tutta l’Europa — rispetto alla quale l’Ucraina ha svolto il ruolo fatale di cuscinetto. Quando però venerdì ha tentato di parlare di questa minaccia durante l’incontro nello Studio ovale, Trump e Vance sono andati su tutte le furie e gli hanno urlato contro, esigendo che riconoscesse la sua impotenza e strisciasse per la gratitudine. I colloqui sono falliti.
Cosa ne sarà ora dell’Ucraina? Prima della visita di Zelensky a Washington, la migliore delle ipotesi era che la Russia acconsentisse a un cessate-il-fuoco in cambio di circa il 20% del territorio ucraino oggi occupato. Tale soluzione avrebbe lasciato milioni di cittadini ucraini — quelli che vivono nei territori occupati e altri che sono stati dislocati più a Est — sotto il controllo del totalitarismo russo. Una possibilità che non è mai stata probabile e che ora appare del tutto impraticabile. Ci troviamo ormai di fronte allo scenario peggiore, che Putin lanci una nuova offensiva contro l’Ucraina puntando alla sua totale sottomissione, stavolta con il sostegno degli Usa.
Putin non ambisce semplicemente a un ritorno al ventesimo secolo. Lui lì già ci vive, ed è lì che bisogna guardare per capire. E in particolare al 1938, anno in cui il premier britannico Chamberlain, che si considerava un brillante negoziatore, mise a punto un accordo che consegnò a Hitler il territorio dei Sudeti, appartenente alla Cecoslovacchia. In cambio, il resto d’Europa sarebbe stato al sicuro dall’aggressione tedesca. A solo un anno dalla firma del Trattato di Monaco, però, la Germania invase la Polonia, dando ufficialmente inizio alla Seconda guerra mondiale.
Nel minacciare Zelensky con toni furibondi e invocando lo spettro della Terza guerra mondiale, Trump ha forse ripercorso il passato più di quanto non si sia reso conto. Cosa succederà se la Russia aggredisse l’Europa senza l’argine degli Stati Uniti ma, anzi, con il loro sostegno? I contorni della possibile catastrofe non sono prevedibili. Non ci troveremo nel mondo bipolare della seconda metà del XX secolo, ma di certo nemmeno nel mondo in cui viviamo e dove nella maggior parte dei paesi ricchi ci si sente al sicuro.
Mi tornano in mente le letture che descrivono la vita degli esiliati a Parigi negli anni Trenta. Ebrei tedeschi e comunisti costretti a fuggire per salvarsi, che assistevano a un mondo in trasformazione. Partiti politici antifascisti che dal giorno alla notte cambiavano radicalmente, assumendo posizioni che andavano dalla tolleranza all’accettazione. Leader francesi e britannici che volgevano altrove lo sguardo mentre Hitler spadroneggiava fuori della Germania. E mentre l’antifascismo veniva minimizzato, l’antisemitismo si affermava diffusamente. Le vittime di Hitler venivano considerate responsabili della sventura che le aveva colpite.
Sono in contatto quasi quotidiano con amici russi o bielorussi che vivono in esilio e stanno assistendo a una sorta di terrificante déjà-vu. Abbiamo già visto come va a finire. E non ci aspettavamo che potesse accadere negli Stati Uniti.