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Referendum, Meloni ci crede e ci punta ma il precedente di Renzi fa tremare: il premierato spaventa

Il referendum, questo sconosciuto. Se agli italiani sarà chiesto di pronunciarsi sul premierato che cosa risponderanno? Propensi o no? Se dovessimo dar retta ai sondaggi di oggi non ci dovrebbero essere dubbi.

Fratelli d’Italia è nuovamente in crescita, Giorgia Meloni è sempre molto amata, i suoi alleati, malgrado certe defaillance, resistono e non perdono terreno. Dunque, non ci dovrebbero essere dubbi sul risultato. Invece non è così scontato, perché un conto è la politica, la preferenza verso un partito, le antipatie su un altro.

Diversamente, quando si tratta di un referendum la situazione cambia. Non bisogna scegliere una forza, anche se questa ha il predominio sul Paese.

Il voto ha un valore più alto perché si è difronte ad un interrogativo che può rivoluzionare il Paese, addirittura cambiare la democrazia, trovarsi in futuro in un’Italia che non riconosci più.

Questi sono gli avvertimenti della sinistra che paventano una “diminutio” del Colle, la limitazione dei poteri del presidente della repubblica, fino all’avventurarsi verso una dittatura nascosta.

A destra, le opinioni sono diverse: non ci sarà nessuna guerra con il Quirinale, Mattarella non si tocca perché gli italiani credono nella sua terzietà. Cambierà solo il modo di affrontare il domani con un esecutivo più stabile che eviterà gli inciuci e le scelte del Palazzo assolutamente diverse dal voto degli elettori.

Ma degli schieramenti politici e delle loro preferenze, gli italiani dinanzi ad un referendum possono allontanarsi dalle simpatie ideologiche e scegliere in maniera contraria.

D’altronde c’è un precedente che dimostra esattamente questo: quando Matteo Renzi, allora presidente del Consiglio con una maggioranza del quaranta per cento, chiese agli italiani se volessero abolire il bicameralismo, subì una sonora e inaspettata batosta.

Era talmente certo di vincere che aveva detto alla vigilia: “Se dovessi perdere, non siederò più sulla poltrona di Palazzo Chigi”. Anzi, andò più in là, affermando che non si sarebbe più interessato di politica. Non avvenne così, perché per qualche tempo fu segretario del Pd; ma non c’ è dubbio che da quel momento in poi la sua stella è tramontata e ancora oggi non è più risorta.

Ecco la ragione per la quale le previsioni e i pronostici non danno la sicurezza di un risultato scontato. Le elezioni politiche, le regionali, addirittura le amministrative possono dipendere da una semplice simpatia o dalla certezza che le persone prescelte potranno difendere a spada tratta i problemi cosiddetti locali.

Con il referendum la scelta è diversa ed il voto può essere assolutamente diverso dalla maggioranza o minoranza che si ha in Parlamento. In effetti quando ci si troverà a deporre la scheda per la “madre di tutte le riforme” (come la definisce Giorgia Meloni), dubbi e perplessità avranno inciso su quanti andranno alle urne.

C’è ancora un interrogativo di fondo che si porrà prima di tutto all’esecutivo guidato dall’attuale premier. Giorgia ha sempre detto che comunque vada il risultato del referendum lei non lascerà Palazzo Chigi perché difenderà fino in fondo la stabilità di un governo eletto finalmente dal popolo.

Ma un conto sono le parole, un’altra è la realtà. Già adesso, la Meloni deve combattere con una opposizione assai critica e sempre pronta a dir di no. Il giorno che dovesse perdere il referendum riuscirà a difendere una poltrona così prestigiosa? Matteo Renzi docet.

 

Bruno Tucci

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