Salvini assolto, il giorno dopo. Perché abbiamo il vizio di essere tifosi, sempre e comunque. Non solo nello sport, ma in ogni manifestazione qualunque essa sia.
La curva è il nostro vero valore. Lo si è dimostrato ancora una volta con l’assoluzione di Matteo Salvini.
Lo ha giudicato innocente il tribunale di Palermo, “finalmente sulla strada giusta”. Per tutti? Assolutamente no, perché nell’altra curva c’è chi grida allo scandalo e non si dà pace. Quel giorno di agosto del 2019 non successe proprio nulla per la magistratura siciliana. Inizia così un’altra battaglia sull’informazione.
Chi ieri si indignava per come avevano agito i pubblici ministeri, ora si esalta e sottolinea che “giustizia è stata fatta”. Per chi invece la pensava in modo contrario, “accetta la sentenza”, ma storce la bocca e si limita a rimanere in silenzio o quasi per non avere conseguenze penali.
Anche in questo caso la terzietà dell’informazione va a farsi benedire. Si è tifosi anche nel dare una notizia. Una tv che guarda solo a sinistra, usa la parola “assolto” dopo aver ricostruito la vicenda falsando i princìpi del buon giornalismo che deve informare subito senza tergiversare, magari e soltanto per motivi politici. Ora, dunque, a osannare la magistratura – quella di Palermo si intende – è la destra perché questo “è un processo che non doveva nemmeno cominciare”. La giustizia non deve servire per abbattere l’avversario, questo è il ritornello dei tifosi dell’assoluzione. Un processo durato cinque anni è finito in un flop che lascia perplessiquanti sono a favore della sinistra.
Comunque sia, non è il modo questo di dare informazione. Bisognerebbe essere asettici e badare solo a quanto è successo, cioè ai fatti. E’ un principio ormai dimenticato perché esistono solo i Guelfi e i Ghibellini. Si confonde il diritto con la politica, si tuona da una parte; mentre dall’altra si fa presente come nei due processi degli ultimi giorni, l’impalcatura dei pubblici ministeri sia finita nel nulla.
Ma non è tutto, perché finita la controversia per l’assoluzione di Matteo Salvini ne comincia subito un’altra che ha già un paio di anni di anzianità. Parliamo della riforma della giustizia, uno dei caposaldi della maggioranza annunciati con grande enfasi durante la campagna elettorale. Il progetto ristagna, fa un passo avanti e uno indietro, una tela di Penelope che lascia interdetta la gente che va a votare e sceglie chi ha fatto più promesse.
E’ chiaro che quanto è accaduto a Palermo innesterà un altro braccio di ferro: con il ministro Nordio che riporterà a galla il suo progetto (divisione dei poteri tra pm e giudici) e la minoranza che grida allo scandalo da tempo. “Si vuole annientare il giusto diritto di un potere dello Stato”, è il ritornello di coloro che la pensano in modo contrario. A farla breve, ecco riaffacciarsi il tifo che forse non si è mai sopito. Avrà avuto un attimo di pausa, ma appena se n’è avuta l’occasione è tornato a dividere gli uni e gli altri.
Non è così che un Paese civile deve andare avanti: la minoranza ha un compito ed è legittimo che lo usi quando se ne presenta l’occasione; la maggioranza ne ha un altro, ma non deve esagerare mettendo all’angolo gli avversari. In una democrazia il dibattito è sacrosanto, ma ci deve essere pure un momento in cui le due forze contrapposte trovino un denominatore comune per il bene e il futuro della nostra Italia. Il Palazzo si convinca che questa è la strada giusta e la percorra fin dove è possibile.