Schlein Bonaccini idillio finito nel Pd, la guerra sui capigruppo, opposte idee di unità, dopo le primarie balorde

Il falso idillio tra Elly Schlein e Stefano Bonaccini, come era facile prevedere, è finito ancor prima di cominciare.

Come si poteva pensare che tra un presidente e la sua vice tutto sarebbe andato per il verso giusto se i ruoli si capovolgevano?

Se insomma la numero due diventava numero uno alla fine di una bagarre elettorale in cui il vertice del partito veniva spazzato via? Solo certa informazione poco accorta (e magari di parte) poteva ritenere che Bonaccini sarebbe stato zitto e buono. 

Le prime avvisaglie ci sono state subito nonostante i buoni propositi del governatore dell’Emilia Romagna. “Se dovesse vincere Elly, io sarò il primo collaboratore, sempre al suo fianco per il bene del partito”. Solo parole di circostanza, naturalmentte.

Al contrario, non appena il buonismo si è acquetato, lo scontro si è riaperto. In primo luogo sul ruolo che Bonaccini avrebbe dovuto ricoprire nel Pd targato Schlein.“Sarà il mio vice”, diceva convintamente la neo segretaria. “Nemmeno per sogno”, rispondeva lui. E allora che cosa fare? La politica, è noto, è l’arte del compromesso, così dopo non poca fatica si era arrivati a far quadrare il cerchio. 

Bonaccini sarebbe diventato il presidente, come lo è tuttora, ma la linea del partito non poteva che essere della Schlein. Tanto più che non appena eletta il Pd aveva avuto un balzo nei sondaggi, poco più del due per cento. “Ecco che cosa significa rinnovare il partito”, sosteneva a ragione la base che aveva voluto a tutti i costi la signora sulla poltrona di via del Nazareno.

Per una manciata di giorni, la situazione si è tranquillizzata dando alla Schlein una sicurezza del suo ruolo. Volava per la prina volta in Europa  (negli stessi giorni in cui anche Giorgia Meloni era a Bruxelles per un vertice di primaria importanza). E si lasciava andare ad una frase che non deve essere stata presa tanto bene dai vecchi conservatori del partito, i democristiani di un tempo, per intenderci. “La prossima volta sarò da voi come presidente del Consiglio”.

Chi era questa “new entry” del partito per azzardare certe ipotesi? E’ stata la classica goccia che ha fatto di nuovo traboccare il vaso. Bonaccini ha riunito i suoi, il resto del partito è rimasto un po’ attonito. E al primo scoglio, la guerra delle mille correnti del Pd si è clamorosamente riaccesa.

Su che cosa? Sulle nomine dei due capigruppo alla Camera e al Senato, rispettivamente Chiara Braga e Francesco Boccia. A questa decisione la segretaria era arrivata senza sentire il parere di nessuno. Di forza soprattutto perché i due erano stati suoi difensori fondamentali alle primarie.

Ahi, ahi: i nemici (o avversari) occulti non aspettavano altro. “Ci siederemo sulla riva del fiume e aspetteremo” aveva detto fra il serio ed il faceto uno che non aveva digerito la vittoria di Elly Schlein. Ecco qua: il braccio di ferro è riesploso ed è Stefano Bonaccini a menare le danze. “Se l’unità è da una sola parte, noi non ci stiamo. Dobbiamo dire si e basta? Per carità non ci pensiamo proprio”. 

Ecco dunque il bivio. “Sarà lotta dura” dicono alcuni. Non c’è dubbio che il tutto non si risolverà tanto facilmente. Se Bonaccini sostiene che se si va avanti uniti, è ncessario esserlo in ogni circostanza, vuol dire che se la Schlein dovesse insistere sui suoi prediletti, la controparte vorrà pure qualcosa di concreto e di un certo peso. Questo sognifica che Elly Schlein dovrà rinunciare ad almeno uno dei ruoli o che dovrà cedere cariche che non le aggradano affatto?

Interrogativo difficile la cui risoluzione comincerà subito, fin da domani in una riunione di vertice. Andrà come andrà, un fatto è chiaro e lampante. La Schelin avrà vita dura in futuro, perché gli sconfitti alle primarie non le daranno tregua. Con il Pd ancora una volta diviso e frazionato. Fino a quando? 

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Bruno Tucci