Elly Schlein, man mano che leggeva e rileggeva i numeri delle elezioni in Friuli Venezia Giulia non credeva ai suoi occhi. Possibile che Massimiliano Fedriga aveva vinto con più del 64 per cento dei voti?
Si, non c’erano dubbi sul pugno in pieno viso che il Pd aveva preso in quella regione. Il candidato della sinistra unita si fermava al 28 per cento, malgrado avesse avuto il supporto dei 5Stelle. Ed allora dove era finito l’effetto Schlein? Se non bocciato, rimandato.
Passata la sbornia delle primarie, il centro destra si è confermato maggioranza senza se e senza ma. Si, certo siamo soltanto in una regione dove l’affluenza è stata pari al 45 per cento, ma è inutile continuare a trovare scuse ed ad arrampicarsi sugli specchi.
Insomma, la neo segretaria di via del Nazareno ha avuto lo stesso destino dei pifferai di montagna che, secondo un vecchio e saggio adagio, andarono per suonare e tornarono suonati.
Per dirla in parole semplici il Pd deve ricominciare da capo. Non è stata sufficiente la sterzata a sinistra della Schlein, il nuovo volto del partito, l’allontanamento dei moderati, i quattromila iscritti in un solo giorno. Niente. All’apparir del vero, è stato un disastro, perché sui numeri non si può discutere. E’ evidente a questo punto che l’alleanza con i grillini non porta da nessuna parte.
Così come in Liguria e Lombardia, in Umbria ed in Calabria, l’accordo non dà i risultati sperati. Soprattutto perché il Movimento di Giuseppe Conte ha avuto poco più del due per cento. Allora, entrambe i leader diranno in cuor loro: perché andare avanti così, se poi subiamo un colpo da KO? Il ragionamento non fa una grinza e forse da oggi in poi del “campo largo” non se ne sentirà più parlare. Non si può seminare un terreno se è pieno di fango.
Massimiliano Fedriga è soddisfatto del voto, perché a parte il buon risultato della Lega (nessuno ci credeva), la sua lista è andata al di là di ogni previsione (più 11). Che cosa significa questo? Vuol dire che il presidente ha lavorato bene, che la “sua” regione gli ha dato il voto che meritava. Matteo Salvini, insieme con lui, non sta nei panni per la felicità leggendo i numeri della consultazione.
Certo, non c’è più la percentuale del 2018, ma chi riteneva che la Lega potesse essere più forte anche di Fratelli d’Italia? Domanda: Giorgia ne esce sconfitta? Assolutamente no. E’ vero che non ha raggiunto il 30 per cento delle politiche, ma rispetto al precedente voto del 2018 ha guadagnato 14 punti che non sono pochi.
Oltre ai 5Stelle, chi deve parlare di una disfatta è pure il terzo polo che ha preso poco più del 2 per cento. Si può ancora definire “terzo”? Matteo Renzi può essere soddisfatto solo di una nomina che non ha niente a che fare con le elezioni in Venezia Giulia. La sua prediletta, Maria Elena Boschi, è da qualche giorno uno dei due vice presidenti della commissione di vigilanza della Rai. Un posto di tutto rispetto perché prossimamente in viale Mazzini ci sarà un consistente cambio della guardia.
Della coalizione di centro destra, l’unico a non a dover gioire (ma nemmeno rammaricarsi) è il Cavaliere. Il partito di Silvio Berlusconi si è ripetuto non andando né avanti, né indietro: tutto questo significa che bisogna smetterla di alzare la voce in modo sgradevole o di esprimere giudizi che provocano falle nella maggioranza. C’è un altro dato che lascia perplessi e fa capire quanto sia stata dura la sconfitta di Calenda e Conte: Giorgia Tripoli, la quarta candidata sostenuta dalla lista civica “Insieme Liberi” ha avuto il 4,74 per cento delle preferenze.
Comunque lo si voglia girare, questo voto la dice lunga sulle scelte di una parte degli italiani. Il popolo ha continuato a guardare a destra, si fida di Giorgia Meloni, ritiene che con lei l’Italia possa fare quei passi avanti indispensabili per contare in Europa.
Insomma, la Schlein deve imparare una cosa da queste consultazioni che si sono svolte in Friuli Venezia Giulia. La politica ha un bisogno estremo di umiltà. Non si può essere così sicuri di un successo quando poi subisci un pugno che ti fa andare quasi al tappeto per il conto totale.
Quindi, non ci si può recare per la prima volta a Bruxelles da segretaria del Pd e dire senza mezzi termini: “La prossima volta sarò qui da presidente del Consiglio”. La strada per Palazzo Chigi è lunga e piena di insidie.
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