Telemeloni o TeleConte, TeleLetta o TeleGentiloni? E’ sempre la solita storia: quando cambiano i governi, lo stesso succede nelle segrete stanze di Viale Mazzini. E ogni volta si grida allo scandalo, alla faziosità della Rai per arrivare sino alla tanta auspicata privatizzazione.
Che mette in angoscia il vertice di Mediaset che vedrebbe in tal caso una pericolosa rivale. Naturalmente finché non muta l’inquilino di Palazzo Chigi, il ritornello non sarà diverso da quello precedente. Che cosa c’è di nuovo? Nulla o quasi almeno che non si si voglia andare alla ricerca del pelo nell’uovo. Oggi nell’occhio del ciclone c’è Giorgia e il suo governo responsabile (si dice) di una lottizzazione senza pari.
Ma forse chi grida a perdifiato “vergogna” dimentica quel che succedeva in passato. Il leit motiv era sempre lo stesso. Allora, invece che strepitare, facciano tutti (in viale Mazzini) un esame di coscienza e vadano a vedere dove si nasconde il marcio. Diamo innanzitutto qualche numero: a Saxa Rubra e dintorni vivono 1200 giornalisti.
Il copione registra altre cifre:22 sono i direttori, pure i condirettori sono 22, 40 i vicedirettori, 208 i capiredattori, 327 i capiservizio. Un esercito guidato da molti generali che spesso vengono degradati e messi in un sottoscala di una qualsiasi palazzina.
Chi ha pazienza aspetta perché i tempi mutano in fretta da quelle parti e il ribaltone può avvenire da un momento all’altro. Chi è perfido sostiene che all’azienda pubblica che guida l’informazione ci sono più giornalisti che notizie. Ma questa è una cattiveria che vogliamo mettere da parte perché le sorprese (o le magagne) sono altre. In qualsiasi quotidiano o settimanale quando il direttore di una testata non va, l’editore lo può licenziare senza violare le regole sindacali. perche’ il suo è un contratto particolare; in caso contrario rimarrebbe a vita alla guida del foglio (con la f minuscola, per carità).
Quindi il contratto non finisce e non si viola nessun regolamento o nessuna legge. Quale sarà il futuro di questo collega? O andrà alla ricerca di un nuovo lavoro oppure si dovrà accontentare di fare l’editorialista. Ultimo esempio è quello di Maurizio Molinari, direttore di Repubblica, oggi articolista dello stesso giornale.
Alla Rai queste regole vanno a farsi benedire perché il silurato non perderà mai il privilegio di essere un direttore con gli annessi e connessi economici. L’unico “sgarbo” che gli viene fatto è quello che dovrà’ lasciare la meravigliosa stanza in cui abitava per andare magari in una specie di sgabuzzino lontano dalle camere del potere.
Quindi, se fino ad un minuto fa aveva il prestigio che merita una simile figura, all’improvviso viene relegato fuori da qualsiasi iniziativa giornalistica di un certo peso. Il portafogli rimane lo stesso e non è un particolare di poco conto. Se tutto questo avvenisse nella carta stampata l’editore sarebbe costretto a subirsi parecchi “numeri uno” del tutto inutili. Un altro problema che ha viale Mazzini riguarda il sindacato. “Unico“ fino ad una manciata di mesi fa: l’Usigrai, una comitiva di giornalisti che non ha avuto mai niente a che fare con la professione.
Un giorno, tempo fa, un commentatore con la penna avvelenata disse in un articolo che nessuno di questi colleghi aveva mai scritto una riga in vita sua, nemmeno una lettera alla mamma che viveva lontano.
Ora, senza essere cattivi sino a questo punto, bisogna riconoscere che il sindacato in questione è composto da una pletora di persone di cui francamente si potrebbe fare a meno. Riunirsi e discutere va bene, ma quante volte in una settimana?
Allora, per farla breve, parlare di mille “telerai” può essere utile, ma forse invece che polemizzare su un problema che difficilmente sarà risolto fin quando viale Mazzini avrà come editore il Palazzo, cerchiamo tutti di andare a trovare notizie, verificarle più volte e poi pubblicarle. Così come si faceva una volta quando non erano stati inventati i social.
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