Dov’è finita la terzietà del giornalismo? E’ quasi scomparsa perché l’ideologia ha preso il posto della neutralità che dovrebbe accompagnare questa professione. Che cosa si intende per terzietà? Chiediamo aiuto al vocabolario: “Nel linguaggio giornalistico è l’indipendenza che si dovrebbe avere nei confronti delle due parti in causa”.
Giovanissimo, poco più che ventenne, entrai a far parte della redazione del Messaggero (in prova s’intende) e pochi minuti prima di sedermi alla scrivania per cominciare il mio lavoro, fui chiamato dal capo redattore (si chiamava Vincenzo Spasiano, un uomo dal cuore d’oro, ma rigidissimo quando si trattava di correggere un articolo). Mi disse poche parole: “Ricordati che qualsiasi idea politica tu abbia devi dimenticarla quando sei davanti alla tua Olivetti”.
Oggi? Questi convincimenti cadrebbero nel vuoto, verrebbero considerati superati e quindi anacronistici. Sono pochi adesso coloro i quali non si fanno trascinare dalle loro convinzioni politiche dimenticando uno dei princìpi tassativi del giornalismo. Quando apri un quotidiano, ascolti la radio o vedi la tv capisci subito da che parte è l’articolista o il conduttore del programma. Ora, ci si sono messi pure i talk show a danneggiare l’informazione. Così che spesso la notizia è di destra, di sinistra o di centro. Non è mai una notizia punto e basta.
Il messaggio arriva al pubblico “colorato”, non è mai asettico. Questo vale soprattutto per chi segue la politica, mai un cronista dovrebbe farsi prendere la mano. Personalmente ritengo che ogni fatto abbia un suo particolare profumo che trasmette a chi scrive e che a sua volta deve arrivare a chi legge o a chi ascolta. Altrimenti ogni articolo sarebbe uguale ad un altro e non si potrebbe comprendere chi è più bravo o meno bravo.
Così, quando vai in edicola a comprare un quotidiano sai già che orientamento ha quella testata e quindi di norma non si informa bene chi legge. Ci sono poi reti televisive che hanno un solo ritornello e questo portano avanti dalla mattina alla sera. Cominciano presto fin dalla lettura del primo tg per poi proseguire con due trasmissioni che hanno il solito refrain per continuare nel pomeriggio e anche dopo l’ultimo tg.
La terzietà, in tal modo va a farsi benedire: scompare, finisce nell’oblio. Perché mai succede questo? Bisogna dire il vero: il Palazzo ha preso il sopravvento e condiziona imperterrito soprattutto l’informazione. Se sei un conservatore vai da una parte, se sei invece un progressista seguirai un altro percorso. Se sgarri, puoi dire addio alla carriera, alla faccia della meritocrazia. Anni fa, imperando la Democrazia Cristiana, si diceva che in Rai (dove la lottizzazione andava e va alla grande) su dieci giornalisti assunti tre erano per il partito di maggioranza, due per il Psi, gli altri per i liberali, i repubblicani e i socialdemocratici. Con molta ironia si diceva a volte che uno solo era bravo.
Battute a parte, il problema è serio perché in questo modo l’informazione è dettata dai Palazzi. Se ciò non bastasse da alcuni anni hanno pure preso ad aumentare i social. Spesso e volentieri si dà una penna (oggi computer) o un microfono a giovanotti che con la professione hanno poca dimestichezza. Vale il principio: presto è meglio che bene. La realtà è che questi ragazzi vengono trattati economicamente peggio di un operaio alle prime armi. Tre, quattro, cinque euro per un articolo che non è breve come una notiziola.
Il malanno aumenta, progredisce alla velocità di un fulmine. A danno di chi? Dell’informazione o del giornalismo in genere. Tra i vecchi professionisti dilaga l’amarcord ed è vero che a volte è preferibile tornare indietro invece che andare avanti. Con la benedizione dei giovani.
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