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Tifoso, come è cambiato il senso, violenza senza confini, daspo senza efficacia, la passione sportiva è degenerata

Possiamo ancora chiamare tifoso di una squadra di calcio l’individuo che va allo stadio solo per cercare la rissa, individuare l’avversario e magari pestarlo di botte se non accoltellarlo?

E possiamo ancora definire appassionati del football quei personaggi che vanno soltanto alla ricerca degli scontri con la polizia coprendosi il volto tipo rapinatori provocando gli agenti tanto per inscenare una gazzarra che a volte diventa assai pericolosa? Se questo si chiama tifo meglio sarebbe chiudere curve e anche tribune e far giocare le partite a porte chiuse. Non si vuole e non si deve arrivare a tanto se un gruppo, nemmeno tnto consistente di soggetti, trasforma un incontro (che è anche spettacolo) in un teatro che con questo sport non ha nulla a che fare?

Purtroppo succede ancora, prova ne sia l’ultimo derby della Capitale riportato dalle cronache e da quei testimoni che non comprendono e biasimano  un simile comportamento. Non si vuole dell’amarcord un tanto al chilo, ma chi ha capelli bianchi (come chi scrive) ricorda il passato e non si capacita. Non è che 50 0 60 anni fa il tifo non esisteva. C’erano giallorossi e biancocelesti, nerazzurri e rossoneri, granata e bianconeri. Ma tutto rimaneva nell’alveo di una goliardia che poteva non piacere, ma che non degenerava mai.

Fioccavano le scommesse, gli sfottò, gli scherzi: null’altro. Poteva accadere che un fans della Roma fosse costretto a girare in mutande per il suo quartiere tra le grida e le risate dei simpatizzanti della Lazio. O che ancora fosse costretto a tagliarsi i capelli a zero o la barba se l’avesse. In ufficio il lunedì mattina, si notavano musi lunghi e sorrisi entusiasti per il risultato. Biglietti sulle scrivanie dei rivali con disegni umoristici, parole che pungevano gli avversari. Poi, il martedì tutto come prima tranne le discussioni da bar che duravano fino alla settimana successiva.

Questo era il calcio e il tifo che lo accompagnava.  Come mai si è verificata una simile trasformazione che evita ad alcuni genitori di lasciare i figli a casa, magari desiderosi di andare in curva a sostenere la squadra del cuore? I tempi non sono uguali, i giovani di adesso non sono quelli di prima e questo è comprensibile. Si potrebbe prendere in giro il tifoso avversario con sfottò diversi senza arrivare allo scenario che spesso gli stadi ci offrono.

C’è una terapia che possa guarire questo fenomeno? Certo che c’è, ma bisognerebbe che forze dell’ordine e società di calcio si unissero per debellare queste drammatiche manifestazioni.  Perchè, diciamolo chiaramente, spesso i dirigenti delle squadre rimangono in silenzio quando il tifo si tramuta in lotta.

Sugli spalti chi grida e incoraggia la propria squadra del cuore ha un peso rilevante perché orienta chi è spettatore. Se un arbitro fa un minimo errore viene subito messo alla gogna e forse la folla viene trascinata dai facinorosi. La reazione non è paragonabile allo sbaglio però avviene e le conseguenze sono quelle che conosciamo.

In parole semplici, è necessario e indispensabile isolare questi teppisti, cioè allontanarli per sempre dagli stadi con misure che non siano solo di breve durata, ma che durino a lungo, magari all’infinito. Questo può accadere soltanto se l’accordo fra i due soggetti (polizia e società) non  duri lo spazio di un mattino. Altrimenti, si torna punto e a capo e lo spettacolo che dovrebbe rappresentare il calcio diventa tutt’altra cosa, tale da allontanare la gente con un danno economico non indifferente e un piacere tolto a quelle persone che vorrebbero andare sugli spalti solo per vedere il bel gioco e anche vincere. 

Il daspo,cioè quel provvedimento che proibisce ai violenti di andare allo stadio, non deve essere solo un palliativo, ma una misura che faccia tornare sulle gradinate tutte quelle persone che amano lo sport più bello del mondo.

 

Bruno Tucci

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