Il vero nome della tecnica pittorica si scrive trompe, ma Trump è veramente tridimensionale. Se vince le elezioni sappiamo in Eurasia come va a finire, fine della guerra e appalti per la ricostruzione gestiti dagli Usa, sia in Ucraina che in Israele.
Se perde sono cavoli amari per la fragile oggi democrazia americana. Questa volta non di arrenderà, guiderà lui stessi i trinariciuti con le corna all’assalto della Casa Bianca di Washington. Sarà guerra civile, quella descritta dal film distopico, ma mica tanto, di Alex Garland, Civil War presentato all’inizio dell’anno.
Ormai il paese culla della Democrazia è irrimediabilmente spaccato, tra coste, atlantiche e pacifiche, evolute, e il Deep Country interno involuto, ma pieno di voti per l’Election Day. È spaccato tra bianchi, più o meno wasp, e resto del mondo, tra neri, portoricani, messicani, coreani, arabi, e chi più ne ha più ne metta.
Tra i fondamentalisti religiosi, nelle varie confessioni battiste, metodiste, mormoni, e via discorrendo e il magma dei laici di diversa espressione. Tra coloro che ancora studiano in università che stentano, culturalmente e scientificamente, e coloro che vi hanno rinunciato da un pezzo. Vedere un nuovo assalto alla democrazia sarebbe devastante per l’effetto moltiplicatore che avrebbe in un mondo sempre più autocratico.
Tutto questo potrebbe far pensare che una istituzionalizzazione di Trump, rispetto ad un suo ribellismo, sarebbe addirittura il male minore. Dio salvi l’America. Ma soprattutto ci salvi da lei.
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