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Trump tiene il mondo sulla corda, dallo scontro con l’Aja alla retromarcia sui dazi (foto ANSA) - Blitz quotidiano
Mettiamola così: la strategia di Trump tiene il mondo sulla corda. E’ il suo “gioco” preferito. Suonare la gran cassa e vedere l’effetto che fa. Prendiamo le uscite più clamorose e recenti: Panama, Groenlandia, “Riviera di Gaza”. Richieste roboanti, fragorose, fatte apposta per stupire, per tenere il pallino in mano. Prendiamo l’ ultima della serie: sanzioni USA alla Corte Penale Internazionale – il tribunale che ha sede all’Aja, Paesi Bassi) – accusata di aver intrapreso “azioni illegittime e infondate contro l’America e il nostro stretto alleato d’Israele”. Immediata la firma di un decreto che proibisce l’ ingresso negli Stadi Uniti ai funzionari, ai dipendenti, agli agenti della CPI e ai loro famigliari. Un attacco a cui si sono opposti 79 Paesi fra cui la Francia e la Germania. Roma non ha voluto entrare nella querelle e non ha firmato contro Trump, non allineandosi alla UE. Una opposizione contro una Corte che è impegnata a garantire giustizia e rispetto dei diritti umani su tutto il globo e che costa oltre 200 milioni di euro all’anno. UE, ONU, e decine di Paesi si sono smarcati da Donald che è finito sotto un fuoco incrociato di critiche per la decisione di imporre sanzioni alla Corte.
Una uscita spiazzante al giorno
Da quando è tornato alla Casa Bianca, meno di tre settimane fa, il presidente degli Stati Uniti ci ha abituato a una uscita spiazzante al giorno. Venerdì, ad esempio, ricevendo a Washington il premier giapponese Ishiba, ha ipotizzato dazi anche per Tokyo, ma ha invocato una battaglia comune contro la Cina. E’ dal 20 gennaio scorso, giorno dell’ insediamento alla Casa Bianca, che Trump si è scatenato su tutti i fronti: dalle scelte interne in materia di immigrazione (con la discussa iniziativa dei rimpatri dei migranti irregolari), a quelle di politica estera. Google Maps si è prontamente adeguata al proposito del Tycoon, trasformando il Golfo del Messico in Golfo d’America. Poi c’è la strategia dei dazi che ha portato Trump ad ottenere quello che voleva minacciando dazi a Messico e Canada del 25% sulle merci in entrata. Morale: il Tycoon ha incassato rassicurazioni sui controlli e in cambio ha concesso un mese di tregua. Tuttavia è rimasta in piedi la linea dura nei confronti della Cina (l’aliquota è al 10%) e la minaccia costante di “punire” anche l’Europa.
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Roma col tycoon, scontro politico
La mancata adesione del governo Meloni al documento pro-CPI, ha scatenato uno scontro politico. L’Italia non ha firmato contro Trump e la polemica è subito divampata. L’assenza dell’Italia tra i 79 firmatari (sono i 2/3 dei 125 paesi che hanno ratificato lo statuto di Roma che ha istituito la Corte Penale) sta infiammando il dibattito politico già rovente sui dossieraggi e dintorni. E’ il caso di ricordare che i servizi segreti hanno accusato il procuratore di Roma Francesco Lo Voi di aver passato documenti riservati della AISI sul capo di Gabinetto Caputi. La polemica interna si è dunque fatta bollente: il Pd ha definito la decisione italiana “una scelta sconcertante”; sulla stessa linea la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen: “La CPI garantisce la responsabilità per i crimini internazionali e dà voce alle vittime di tutto il mondo. Deve poter perseguire liberamente la lotta contro l’ impunità globale. Le sanzioni alla Corte Penale minano il sistema di giustizia internazionale“. E domenica notte Trump, c’è da scommettere, ruberà la scena al Suprer Bowl di New Orleans, maxi evento di football, davanti a 120 milioni di telespettatori. Inarginabile, per ora.