Trump, l’Europa e l’Italia. Nulla di nuovo sul fronte occidentale. In America è accaduto che la classe politica al potere ha fatto pagare per anni al “cittadino” il prezzo dei propri errori fino a punto che il “popolo” ne ha chiesto la rimozione.
Nello stupore della famiglia Obama e dei democratici doc, quelli degli “yes we can” ed unici depositari dei “valori”, ha vinto il gruppo politico più sgangherato, guidato da un visionario in evidente odore di fascismo, un dittatore autocrate che rischia di portarci alla Terza guerra mondiale.
In realtà, negli Usa ha vinto il popolo delle casalinghe che fanno la spesa, pretendono sicurezza per i figli che vanno a scuola e denunciano l’immigrazione irregolare; hanno vinto gli operai che perdono il lavoro per via di un globalismo becero che ha fatto chiudere le loro fabbriche; hanno perso le categorie privilegiate che aumentano i propri redditi a scapito di enormi masse di sacrificati. Ha vinto il popolo rispetto alle élites. Trump ha semplicemente fatto notare che qualsiasi “principio ideale”’ non è mai giusto in astratto: l’incapacità di realizzarlo equivale al suo fallimento e la pretesa di imporlo con mezzi coercitivi segna la fine delle democrazie.
In politica estera gli ideali che avevano portato alla creazione della società delle Nazioni e poi dell’Onu sono naufragati miseramente perché nessuna guerra è mai stata bloccata o interrotta da questi organismi internazionali. I patti di non proliferazione delle armi più letali sono stati aggirati e oggi si scopre che la Russia ha l’arsenale atomico più fornito con il quale minaccia l’intero occidente. Tutto ciò impone all’America di investire sempre più nella difesa militare capace di bloccare le spinte imperialiste di altre Nazioni che pretendono un nuovo ordine mondiale e si servono del terrorismo religioso ed etnico.
Poiché tutto ciò ha un costo, l’Europa deve partecipare e i paesi “pacifisti” che si chiamano fuori perderanno l’ombrello protettivo della Nato. Questo principio è proprio l’opposto della politica “imperiale”.
L’America non si propone più come gendarme della democrazia mondiale e chiede all’Europa di scegliere il proprio schieramento. Se lo Stato artificiale europeo riuscisse a diventare un’entità politica e decidesse di restare neutrale, sarebbe un problema in meno per gli americani che avrebbero eliminato un’entità parassitaria.
Se l’Europa resterà quella attuale, Trump si riserva di realizzare accordi bilaterali secondo gli interessi americani. Più chiaro di così si muore. Poiché l’unità politica dell’Europa è irrealizzabile, dal momento che esistono paesi che si considerano più “potenti” di altri, dove un Macron crede di essere De Gaulle e Scholtz si paragona ad Adenauer, l’Europa è destinata a sgretolarsi per la gioia di un paese imperialista come la Russia che è pronto ad incassare l’annessione dei territori ucraini.
Dinnanzi ad una politica protezionista in economia da parte di Trump, l’Europa delle patrie dovrebbe rispondere con armi analoghe. I padri costituenti europei pensavano ad un mercato unico “chiuso” rispetto al resto del mondo, mirato a proteggere le nostre imprese.
I formaggi greci non dovevano essere messi in concorrenza con quelli nordafricani e così i prodotti agricoli, l’acciaio e l’energia. Ha infranto questo patto la Germania che ha scoperto il mercato cinese delle auto ed è stata ripagata con il ridimensionamento delle sue fabbriche storiche. La tecnologia americana dovrà essere messa in concorrenza ma si dovrà investire, come suggerisce Draghi, in una tecnologia europea. La fuga dei cervelli all’interno dei confini europei è vissuta come competizione tra paesi diversi. Ma come può la leadership della Ursula von der Leyen che si pone a capo di una burocrazia invasiva, assolvere a questo ruolo?
Trump ha messo al centro della propria campagna elettorale il problema immigrazione e ha catturato i voti delle classi povere comprese quelle degli immigrati regolari. Ha promesso la costruzione di muri ancor più alti, l’impiego di forze di polizia ancor più numerose, l’espulsione senza processo degli irregolari.
Certamente tutto ciò confligge con i principi umanitari e vi sono numerose decisioni di giudici Usa che bloccano quei provvedimenti. Ma alla fine decideranno le Corti di nomina politica. Trump crede di trovarsi in guerra con i “giudici” ed afferma: “pensate cosa accadrebbe se esistesse una categoria con un potere maggiore di quello popolare”. Che è poi il discorso di Togliatti alla Costituente.
Queste elezioni hanno segnato la sconfitta del mondo ovattato dello spettacolo, il cui contributo ai democratici è stato insignificante. Gli influencer che pensano di essere popolari e di portare i voti dei propri “follower”, come Fedez in Italia, dovranno essere ricondotti alla sfera dell’indifferenza.
Il principio della primazia della politica, si riscontra nel diritto supremo dei partiti e dei candidati al finanziamento illimitato. Una democrazia non può esistere senza i partiti e i partiti non possono esistere senza finanziamenti. Chi mette in discussione questo principio attenta alla democrazia. Una volta che il popolo sovrano ha eletto il Presidente che ha anche il supporto del Congresso e del Senato, la scelta è netta e indiscutibile.
Con questo mandato, il presidente può chiamare figli e parenti a posizioni di governo e lo fa con naturalezza e in modo trasparente. Se egli ha fiducia degli amici più stretti, dei grandi finanziatori che gli hanno permesso di vincere le elezioni, ha pieno diritto di affidare ad essi le posizioni apicali del potere senza obbligo di fare delle gare per scegliere i migliori.
Saranno gli elettori tra quattro anni a giudicarlo. Un sistema politico funziona quando la classe vincente ha il potere di imporre la propria volontà nella scelta dei ministri. Solo così il sistema democratico funziona, esiste, vive. Ed è proprio quello che hanno fatto i democratici prima di Trump. Insomma, la Legge Severino e quella sui conflitti di interesse non “abitano” in America.
Il diritto al finanziamento spetta anche ai magistrati. La vittoria di Trump e dei Repubblicani rispetto ai democratici è stata totale e riguarda anche la categoria del “giudici” Il reclutamento dei giudici mediante elezione diretta da parte dei cittadini costituisce una particolarità della democrazia americana.
Ciò che distingue i giudici rispetto alla classe politica è che i primi non possono chiedere direttamente i fondi per finanziarsi la campagna elettorale ma devono farlo attraverso appositi “Comitati”. Questa tecnica di selezione, finisce per fare dipendere i giudici dal sistema dei partiti ed è proprio questo il “trionfo” della democrazia americana.
Trump è un pluricondannato ma dichiara che sono stati i giudici di estrazione “democratica” ad avere emesso le sentenze. L’elettorato americano gli ha creduto. Trump si appresta a nominare i giudici federali, delle Corti distrettuali e d’Appello, nonché quelli della Corte Suprema che si dimetteranno durante il suo mandato.
In altre realtà democratiche sono i governi a nominare i giudici. Ad esempio, i giudici delle Corti europee sono designati dai singoli governi. I partiti che non partecipano al Consiglio europeo affermano che le decisioni delle Corti sono politicizzate. Accade così che il Partito democratico italiano che è in minoranza in Italia ma fa parte della maggioranza europea è in grado di orientare le decisioni dei giudici europei a danno del governo Meloni, come sta avvenendo per la politica sull’immigrazione.
Il principio della prevalenza della politica su ogni struttura “tecnocratica” riguarda anche le burocrazie. L’America è il paese che conta il maggior numero di impiegati pubblici, che sono molti milioni. Trump ha dichiarato che non farà l’errore commesso durante il suo primo mandato, ossia quello di lasciare al loro posto i funzionari nominati dai democratici che gli hanno “remato contro” e si è ripromesso di sostituirli in massa. In America la supremazia della classe politica intesa come espressione del popolo è totale e costituisce la base etica e democratica della Nazione.
In Italia i giudici sono nominati per concorso e quindi senza avallo popolare, e ad essi sono conferiti poteri di controllo sulla classe politica e sulle leggi. Nel nostro sistema, a ciascun giudice (di qualsiasi istanza) spetta il compito di critico della legge ai fini delle questioni di costituzionalità. Molti paesi hanno una Corte costituzionale, ma nessuno ha un contenzioso come il nostro. In questo modo, i giudici hanno acquisito un potere di condizionamento in grado di mettere in ginocchio la nostra democrazia.
Quando si afferma che i giudici rispondono solamente alla legge si afferma un principio utopico e fuori dalla realtà dal momento che proprio i giudici hanno dimostrato che ogni norma può avere diverse interpretazioni.
L’art. 111 della nostra Costituzione stabilisce il principio che la legge assicura la ragionevole durata dei processi. Che i processi civili, penali e amministrativi durino molto più in Italia che in qualsiasi altro paese europeo lo dicono le statistiche. Ma l’aspetto che più ci distingue è il fatto che le sentenze dei Tribunali siano modificate nei successivi gradi in una misura inaccettabile.
L’italiano si è ormai abituato ad attendere (almeno) tre successivi giudizi da parte di “Corti” diverse, per avere una sentenza definitiva. In conclusione, la nostra Giustizia non dà pratica attuazione ai dettami costituzionali. La responsabilità di questo stato di cose deve essere ascritta anzitutto alla Magistratura che si autogoverna e quindi stabilisce al proprio interno le modalità di formazione professionale, di carriera e di attribuzione dei ruoli direttivi dei giudici. In conclusione, si può affermare che la Magistratura, nel suo complesso, violi la Costituzione e i diritti del cittadino.
L’arma segreta con cui Trump ha vinto le elezioni è stata quella di lasciare il microfono mediatico alla Harris. Proprio questa è stata la forza del governo Meloni che ha vinto grazie alle dichiarazioni della Schlein, di Conte, Fratoianni, della Salis e di Landini in tema di immigrazione e di sicurezza, di scioperi e di blocchi stradali. Consiglio peraltro la Meloni di silenziare alcuni ministri, sottosegretari e parenti stretti che si occupano di politica.
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