Alberto Lucarelli al Fatto Quotidiano: “Vilipendio, reato da Stato autoritario”

 Alberto Lucarelli al Fatto Quotidiano: "Vilipendio, reato da stato Autoritario"
Alberto Lucarelli al Fatto Quotidiano: “Vilipendio, reato da stato Autoritario”

ROMA – “Vilipendio reato anacronistico? Quando viene usato per reprimere critiche argomentate, certamente sì”. Queste le parole del professor Alberto Lucarelli, ordinario di Diritto costituzionale a Napoli, intervistato dal Fatto Quotidiano:

Professor Lucarelli, trova che il vilipendio sia più consono a un regime totalitario che a una democrazia?

Storicamente, richiama al rapporto tra suddito e sovrano. E infatti deriva dalla concezione dello Stato autoritario francese. Già quando fu inserito nel codice Zanardelli, il clima era praticamente quello di uno Stato di polizia. Le cose cambiano nel 1948, con l’entrata in vigore della Costituzione. Esatto: questa visione autoritaria stride con il diritto di cittadinanza, con la comprensione del funzionamento democratico e, ovviamente, con la libertà della manifestazione di pensiero, fortemente radicata nell’articolo 21 della Carta. Si può dire che a un certo punto questi reati, tra cui il vilipendio, diventano di mera opinione, perdendo molto peso rispetto a prima. Poi nel 2006, con la riforma dei reati di opinione, vengono attenuati ancora di più. Il legislatore decide di punirli solo con sanzioni di natura pecuniaria. Ma si tratta di un intervento insufficiente, perché c’è ancora una incompatibilità col diritto di espressione. Soprattutto visto che il ruolo del capo dello Stato, nel tempo, è molto cambiato: forse è presto per parlare di repubblica presidenziale, ma di certo Giorgio Napolitano determina direttamente l’indirizzo del governo.

Ma se il ruolo del presidente della Repubblica non è più solo di garanzia e controllo, ha senso che goda di tutele costituzionali così estese?

In effetti il capo dello Stato si connota sempre più in senso politico-governante. E dunque si espone a maggiori critiche, è evidente. È normale che il livello dello scontro aumenti man mano che il capo dello Stato si fa strada nell’agone politico. Eppure la Corte costituzionale, con diverse sentenze, ha voluto dare un rango costituzionale al prestigio delle istituzioni, come sottolineano i difensori di Napolitano. Sta al giudice di merito stabilire quando si tratta di mero insulto e quando invece di manifestazione del pensiero, per quanto aspra, dura e colorita. Ecco una delle frasi contestate da un editoriale di Repubblica: “Metteva tristezza, molta tristezza, l’ottavo monito di Capodanno del Presidente Monarca. Triste il tentativo disperato di recuperare uno straccio di rapporto con la gente comune”.

Insulto o critica?

Non è certo vilipendio. Da tempo si sostiene che il capo dello Stato stia interpretando i suoi poteri non in maniera super partes, ma con una funzione di indirizzo politico governante. Intervenendo sempre più nella vita politica.

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