ROMA – Alessandra Moretti, candidata renziana alle prossime elezioni regionali del Veneto, ha scelto di non mettere il logo del Partito Democratico nei manifesti elettorali.
I pubblicitari, forse, plaudono a una scelta tanto anodìna – scrive Pier Francesco Borgia del Giornale – Serve, potrebbero spiegare, per convincere gli indecisi in una terra, il Veneto, un tempo patria democristiana. Anche il suo sito è privo di riferimenti al partito. Come pure il suo account di Twitter . I più maligni tra gli osservatori notano che, in un momento come quello attuale, dove il Pd è flagellato da liti, ricorsi a carte bollate, denunce e commissariamenti, la scelta di smarcarsi dal simbolo è più che altro una necessità di sopravvivenza politica. La Moretti d’altronde ha saputo smarcarsi bene nell’ultimo lustro. Più volte ha cambiato il cavallo su cui puntare. A spingerla sotto i riflettori della politica nazionale fu per primo Pier Luigi Bersani che la volle al suo fianco come portavoce nelle primarie per il candidato premier del 2012. Con le elezioni politiche del febbraio 2013 diventa deputato. Il suo «cavallo» non conquista, però, Palazzo Chigi e al successivo giro di primarie la Moretti appoggia il bersaniano Cuperlo. Anche stavolta sbaglia puntata ma non si arrende. La nuova Segreteria del Pd, guidata da Renzi, la lancia nel consesso europeo e la Moretti conquista uno scranno di europarlamentare (maggio 2014), forte di un bottino di 231mila voti.
E adesso la spallata definitiva al vecchio mondo bersaniano. La Moretti ripudia il simbolo, sposa la causa dei «giovani turchi» renziani, e si concentra nel duello con Zaia per la conquista di Palazzo Balbi. E ci si mette così tanto di impegno che attivisti vicentini le hanno rimproverato, durante un impegno elettorale, di disertare le votazioni dell’assemblea europee. La Moretti non la prese bene, e il contestatore si beccò una querela.