Grazie a Berlusconi, Air France paga Alitalia150 milioni invece che 6 miliardi

Pubblicato il 26 Settembre 2013 - 06:10 OLTRE 6 MESI FA
Grazie a Berlusconi, Air France paga Alitalia150 milioni  invece che 6 miliardi

Alitalia senza più ali

 Federico Fubini traccia su Repubblica un sunto della tragedia Alitalia che è anche un profilo senza illusioni di chi comanda in Italia. È una vicenda, scrive Fubini, con

“molti protagonisti notevoli per ciò che hanno fatto o che hanno omesso: l’ex presidente dell’Antitrust e oggi viceministro dello Sviluppo Antonio Catricalà, l’altro ex presidente dell’Autorità della concorrenza,[e oggi giudice costituzionale,] Giuseppe Tesauro, quello attuale Giovanni Pitruzzella, il vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani, oltre al regista industriale dell’operazione Corrado Passera e all’ex premier Silvio Berlusconi. Non senza il supporto, involontario ma prezioso, della Cgil”.

Uno scherzo costato

“circa sei miliardi a carico dei contribuenti”

e una cifra indefinita

“anche per i consumatori”.

Rewind di cinque anni, fino a

“quando, il 19 marzo del 2008, atterra a Roma Jean-Cyrille Spinetta, allora numero uno di Air France”

Alitalia era

“alle soglie del fallimento, disertata dalla clientela”

ma Spinetta era disposto a comprare Alitalia dallo Stato italiano, che ne era il principale azionista, per una somma fra 2,5 e 3 miliardi di euro, accollandosi in più i tre miliardi di euro dei suoi debiti e impegnandosi a investirne altri sei in dieci anni:

“Un’operazione da circa sei miliardi a beneficio delle casse dello Stato (circa le manovre Iva più Imu di un anno), più altri sei in sviluppo futuro”.

Ma, ricorda Simone Fubini, non se ne fece nulla:

“La Cgil in Alitalia osteggia la fusione e Berlusconi sposta l’ago della bilancia puntando la campagna elettorale di allora sull’«italianità » della compagnia”.

Oggi, cinque anni, la speranza è che

“la stessa Air France prenda il controllo di Alitalia con appena 150 milioni: venti volte meno del prezzo rifiutato cinque anni fa. Ma questa è solo una parte della beffa, poi arrivano gli altri oneri.”

“Il più immediato ricade ancora una volta sui contribuenti. Nell’estate 2008 infatti il governo Berlusconi favorisce una cordata di investitori privati italiani nella compagnia, spostando i tre miliardi di debiti di Alitalia su una nuova bad company sotto il controllo del Tesoro. Cioè a carico dei cittadini. Inoltre, ottomila dipendenti vengono messi in mobilità, ancora una volta a carico dello Stato, e undicimila restano. La cordata italiana – guidata da Passera con banca Intesa Sanpaolo, e con dentro la Immsi di Roberto Colaninno, e nomi noti come i Riva, i Benetton, Marco Tronchetti Provera, i Marcegaglia, Acqua Marcia di Bellavista Caltagirone, i Ligresti o i Marcegaglia – potrà dunque spendere circa un miliardo (un terzo di quanto offriva Air France) per raccogliere un’azienda ristrutturata e senza debiti.

“Qui sorge il primo problema perché, accollando ai cittadini i debiti della vecchia Alitalia, di fatto il Governo concede alla cordata italiana un aiuto di Stato. Una violazione della parità di condizioni fra concorrenti. Meridiana e Ryanair presentano ricorso alla Commissione europea, ma sono sfortunati: il responsabile dei Trasporti all’epoca è Antonio Tajani, ex portavoce di Berlusconi, cioè del padre dell’operazione nuova Alitalia. «A Bruxelles ci presero a pesci in faccia », ricorda ora l’esperto di Antitrust e all’epoca consulente di Meridiana Roberto Pardolesi”.

L’operazione prevedeva anche la fusione fra Alitalia e AirOne. In Grecia, ricorda Fubini, una operazione analoga

“fu vietata da Bruxelles, ma questa volta l’Antitrust europeo ignora la questione. Alitalia e AirOne così conquistano il monopolio sulla tratta più redditizia d’Europa, Linate-Fiumicino, e una posizione dominante su molti voli da Linate verso Napoli, Catania e Palermo. Una violazione impossibile da ignorare, se non venisse in soccorso una legge ad hoc: il decreto legge 134 dell’autunno 2008 che chirurgicamente sospende per tre anni le norme di concorrenza per le «aziende di servizi pubblici essenziali» nate da fusioni «entro il 30 giugno 2009». Manca solo che indichino la statura dell’amministratore delegato. Catricalà, allora presidente dell’Antitrust, poi sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Mario Monti, non applica neanche i calmieri ai prezzi che pure potrebbe ancora imporre. La Linate-Fiumicino diventa la tratta più costosa d’Europa, seguita a ruota dalle rotte per il Mezzogiorno”.

[…]

“I concorrenti di Alitalia non si arrendono: parte un ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio contro quell’esenzione dalle norme di libera concorrenza e il Tar del Lazio lo rimanda alla Corte costituzionale. Qui relatore sulla questione è Giuseppe Tesauro, ex capo dell’Antitrust in Italia. Si tratta di un’altra circostanza sfortunata, per via di un incrocio di carriere: all’Antitrust per anni Tesauro ha tenuto come capo di gabinetto Rita Ciccone, oggi numero tre della nuova Alitalia. Ma Tesauro non rinuncia a trattare il caso e emette una sentenza che conferma l’esenzione di Alitalia dalle regole di concorrenza in nome dell’«interesse pubblico». Anche Pitruzzella, capo attuale dell’Antitrust, scaduti i tre anni di esenzione farà giusto il minimo per scalfire il monopolio: nessuna nuova misura sulle tratte Linate-Meridione. Forse non ha capito neanche lui cosa sia questo «interesse pubblico»di cui parla” la Corte costituzionale.