Amanda Knox, intervista a Repubblica: “Sarò assolta, poi incontrerò i genitori di Mez”

 Amanda Knox, l'intervista a Repubblica
Amanda Knox, l’intervista a Repubblica

ROMA – “Vedrete, stavolta sarò assolta poi incontrerò i genitori di Mez”, queste le parole di Amanda Knox, intervistata da Meo Ponte di Repubblica:

«Sono ottimista ma ho paura. Ogni volta che ho creduto che la mia innocenza sarebbe stata riconosciuta sono stata condannata quindi…». A Seattle è passato da poco mezzogiorno. Amanda Knox è appena rientrata a casa dalle lezioni di scrittura creativa all’Università. L’appuntamento per l’intervista è suSkype. Lei appare sul video sorridente dietro i grandi occhiali da miope, i capelli tagliati corti a caschetto. Mostra un gatto dal pelo arruffato che le ronza attorno insistente e dice: «Questo è Torrato. Ne ho ancheun altro che ho chiamato Amiel. Vivo con loro, il mio ragazzo abita poco lontano ma non viviamo insieme e loro sono il mio vero conforto. Lo so che sembrerà strano in Italia ma la vita è, come posso dire? Non noiosa ma semplice ».
Il processo a Firenze che la vede ancora imputata di omicidio sta per giungere a conclusione. Che cosa si aspetta?
«Quello che aspetto dal 2007: che venga riconosciuta la mia innocenza, che si stabilisca una volta per tutte che non ho ucciso la mia amica Meredith. Ho seguito attentamente questo nuovo processo voluto dalla Cassazione attraverso i miei avvocati, Luciano Ghirga e Carlo Dalla Vedova. Sono state fatte nuove perizie ma non si pare che siano state scoperte prove della mia colpevolezza. Anzi, da quanto ho capito le nuove perizie hanno avuto risultati opposti a quelli che si aspettava l’accusa».
Ha deciso di non partecipare al processo. Ha mandato una memoria scritta alla Corte. Pensa ancora di aver fatto la scelta giusta?
«Sì, anche se è stata una scelta sofferta perché in realtà avrei voluto venire in Italia ed essere presente in aula, parlare direttamente ai giudici. Sono convinta che di essere la mia unica vera difesa: mostrandomi per quello che sono posso far capire di essere innocente. In Italia però sono stata arrestata e messa in prigione per quattro lunghi anni non sulla base di prove ma di supposizioni. Sono convinta però che se fossitornata sarei finita nuovamente in prigione. È successo, l’ho vissuto sulla mia pelle. Mi hanno accusato di aver fatto la ruota in questura la sera dell’interrogatorio, hanno interpretato come indizi le mie risate. Mi chiedo ancora come possa essere successo. Anche se mi fossi presentata in questura nuda e ballando questo non significava che io fossi un’assassina».
Secondo il procuratore generale di Firenze il movente dell’omicidio di Meredith non è più legato al gioco sessuale ma a una lite scoppiata tra lei e Meredith perché Rudy non aveva tirato lo sciacquone del water. Che nepensa?
«Che si tratta di un’altra congettura, come le altre. Meredith non era una persona che litigava con me per queste cose. In più, in tutto questo tempo non sono mai riusciti a trovare tracce di contatti tra me, Raffaele e Rudy Guede. Io l’avevo visto due volte di sfuggita, Raffaele addirittura non l’ha mai incontrato. E senza conoscerlo avremmo partecipato ad un omicidio con lui? L’ho già detto prima: l’accusa è basata soprattutto su suggestioni, congetture. Non su prove evidenti. C’è un detto negli Stati Uniti . su chi si scava la fossa da solo. Ho avuto l’impressione che l’accusa si sia comportata così. Ma nella fossa che aveva scavato ha poi gettato me».
Ha mai parlato con la famiglia di Meredith, dopo l’omicidio?
«Non direttamente, anche se avrei voluto. Quando li ho visti in aula al processo di Perugia volevo salutarli e ho chiesto ai miei avvocati se poteva farlo. L’avvocato Carlo Della Vedova ha provato ad avvicinarsi a loro ma i loro legali lo hanno respinto, dicendo che non era il momento. Voglio ancora parlare con loro, dirglielo direttamente che io non c’entro con la morte di Meredith, che le volevo bene e che eravamo amiche. So però che mi credono l’assassina della loro figlia, sono convinti che l’abbia uccisa io e quindi anche ora non è ancora il momento di parlare loro. Quel giorno però verrà, io i tengo moltissimo. Voglio parlare con loro, abbracciarli perché soffro del loro stesso dolore. Spero succeda dopo che la mia innocenza sarà stata definitivamente riconosciuta».
Ha sentito Raffaele Sollecito recentemente?
«Sì e l’ho sentito molto più ottimista di me. Lui crede nella giustizia ed è convinto che ci assolveranno. È anche molto religioso e questo credo lo aiuti molto. Io sono un po’ meno ottimista, mi sono illusa troppe volte che la verità venisse riconosciuta. Mi sono resa conto che una persona può finire in quello che io definisco un vortice, essere messa sotto accusa e poi in prigione senza capire perché. Un tempo amavo i romanzi, ora ho scoperto che è meglio studiare la realtà, ragionare sui fatti. Vorrei in futuro riuscire a spiegare alla gente come si possa finire sul banco degli imputaticon estrema facilità pur essendo innocente».
Ha detto che avresti voluto parlare ai giudici di Firenze. Per dire che cosa?
«Che il fatto di essere a casa mia qui a Seattle non mi fa star bene. Starò davvero bene soltanto quando la mia estraneità alla morte di Meredith sarà riconosciuta ufficialmente. L’ho detto prima: sarei tornata per il processo. L’Italia mi manca tantissimo. Ma ho paura, sono stata in prigione per quattro anni senza aver commesso nulla di male e nonostante urlassi la mia innocenza nessuno mi ha creduto. Non sono tornata esclusivamente per non finire nuovamente in una cella ma sto male. Non mi piace vivere con questa accusa addosso».
Ma se il processo dovesse concludersi con una condanna cosa farà?
«In quel caso sarò… come si dice… una latitante».
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