ROMA – “Stasera in tivù lo sfollatore di consensi”, questo il titolo dell’articolo a firma di Andrea Scanzi sulle pagine del Fatto Quotidiano in edicola oggi, venerdì 7 febbraio.
È una nuova categoria mediatica: lo sfollatore di consenso. Il desertificatore di voti. Fa parte di una forza politica. È convinto di aiutare la causa, e in effetti la aiuta. Solo che è la causa degli altri: degli avversari. Una delle più instancabili sfollatrici di consensi nella storia della politica italiana è Paola De Micheli.
Bersaniana e lettiana di ferro, denota una propensione al masochismo al cui confronto Sacher-Masoch era De Sade. Prima delle elezioni nazionali del 2013, quelle che il Pd non poteva perdere (e invece c’è riuscito: fenomeni), la De Micheli soleva occupare ogni spazio televisivo immaginabile. La voce da Wanna Marchi e la sicumera di chi è misteriosamente convinto di apparire arguta, dopo il rovescio elettorale elaborò rapidamente il lutto. Poi scomparve, giusto un po’, dalle agorà televisive. Si è tornati a parlare di lei quando, durante la presentazione dell’agiografia di Bersani, ha accusato Renzi di avere impallinato Prodi (rimane la sua dichiarazione più sensata). Lunedì scorso era a Piazzapulita . Si presume che, guardando la puntata, Matteo Renzi abbia distrutto dalla rabbia tutti i 45 giri di Righeira (autografati). Ogni volta che la De Micheli parlava, un punto percentuale del Pd moriva. Ascoltandola e guardandola, saliva negli spettatori la voglia irresistibile di votare tutti. Ma proprio tutti. Tranne il Pd. A un certo punto Antonino Monteleone le ha ricordato che durante il voto sullo scudo fiscale era assente. E quella assenza, unita a molte altre dei parlamentari piddini, risultò decisiva. “Dov’era, De Micheli?”. E lei, arrogante e comicamente sprezzante: “Boh”. Una frase che, da sola, dà la misura di cosa sia stata la cosiddetta “opposizione” negli ultimi vent’anni in Italia (…)
Il desertificatore di voti, talora, è usato dalle tivù proprio in quanto tale: lo si chiama, e richiama, perché la sua presenza risulta così caricaturale da indurre a non votare mai e poi mai la forza che il Fantozzi inconsapevole glorifica. Il movimento più odiato dalla tivù è il Movimento 5 Stelle, ed è per questo che diviene preziosa la megalomania catodica di Paolo Becchi. Viene presentato addirittura come “ideologo”, e se fosse vero il M5S potrebbe – anzi dovrebbe – ritirarsi subito dalla competizione politica: così, per umana decenza. La barba pensosa e la presenza scenica di un Beruschi convinto chissà perché d’esser filosofo, Becchi era lunedì a Piazzapulita e martedì a Ballarò. Con precisione chirurgica, bastavano due o tre sue frasi per vanificare l’operato di un anno dei Di Maio e Villarosa. Lanciati a bomba contro se stessi, gli sfollatori di consensi sono manna dal cielo per i nemici. Null’altro che Cassandra elettorali. Quel che toccano, distruggono. Quel che celebrano, frana. Quel che incensano, sfiorisce. Una prece.