ROMA – La “discriminazione territoriale” fa discutere nel mondo del calcio, c’è chi rimane a favore, chi ignora l’argomento e poi le curve che, unite, compreso quella del Napoli, tentano di opporsi. Andrea Scanzi, dalle pagine del Fatto Quotidiano (10 ottobre), affronta il tema, spinoso o no: “L’intento è nobile – scrive Scanzi – ma lascia spazio a dubbi e critiche. In primo luogo, non si capisce benissimo dove finisca lo sfottò e cominci la discriminazione”.
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Proprio come lo striscione che i tifosi napoletani dedicarono a quelli veronesi. Tecnicamente anche quella era discriminazione territoriale, benché ammantata di un’ironia sublime, in risposta al’’orrendo “Vesuvio facci sognare”. O ancora: “Vieni avanti creatino” (i fiorentini agli juventini); “Siete più brutti della Multipla” (I tifosi del Torino durante un derby); “Siete come i capelli di Conte … finti! (idem); “Noi al circo Massimo, voi massimo al circo” (Roma-Lazio); “Ilary e Totti: una letterina per un analfabeta” (idem); “L’Italia intera lo sa, ‘ tortellini e bocchini le vostre specialita ’ (laziali ai bolognesi); “Garibaldi perché?” (fiorentini ai napoletani); “Cristo si è fermato a Eboli per non vedere Potenza” (durante un derby lucano).
E si potrebbe proseguire a lungo. C’È POI un aspetto più rilevante. Gli stadi hanno sempre dato sfogo alle peggiori inclinazioni verbali, e spesso non solo verbali. Basta vedere una partita di ragazzini, e ascoltare l’eloquio diversamente forbito dei genitori che inveiscono contro arbitro e avversari, per rendersene conto. Siamo ancora dentro il panem et circenses e l’approccio non è meno gladiatorio di un tempo. Eppure, venti o dieci anni fa, a punizioni simili neanche si pensava. Di per sé non è un motivo valido per non muovere foglia: non è detto che, se una cosa sia stata accettata fino a ieri, vada per questo tollerata. La domanda, però, rimane: perché ieri nessuno si indignava e oggi tutti sgomitano per farlo? Rispondere sostenendo che il senso morale degli italiani è aumentato pare ardito. E nemmeno si può affermare che, negli anni, la volgarità – più o meno territoriale – dei tifosi sia peggiorata: gli indecenti “Napoli colera”, purtroppo, c’erano anche prima.
Lo stadio, non-luogo per antonomasia, è poi uno spazio in cui vigono leggi morali del tutto atipiche. Nel momento in cui si accetta di frequentarlo, sottoponendosi a torture molteplici che vanno dai parcheggi impossibili ai tornelli infiniti, si accetta anche una sorta di diminutio implicita del bon-ton. Si sa che si riceveranno degli insulti, come si sa che se ne faranno. Ciò che fuori dallo stadio parrebbe inaccettabile, diventa (lì e solo lì) tollerato. Addirittura se ne sorride. Le filastrocche sconce vengono cantate pure dai bambini. È bello? No. Ma così è.
Da sempre. NESSUNO, intimamente, ignora che lo stadio sia anzitutto uno sfogatoio. Per questo, salvo casi rari di permalosite acuta, se un tifoso sente un coro contro di lui è spesso il primo a sorriderne. Non si conoscono ad esempio casi di supporters doriani che abbiano ipotizzato di invadere la Polonia, dopo avere ascoltato slogan poco indimenticabili sul loro “puzzare di pesce”. È in questo contesto del tutto particolare, e sostanzialmente amorale, che si inserisce la guerra santa di Platini e della Uefa. Ed è per questo che una tale crociata, in sé condivisibile, pare sospetta. Vien da pensare che sia un guardare la pagliuzza e non la trave: una scorciatoia per lavarsi la coscienza. Il modo scaltro di capetti e dirigenti, gli stessi che in questi decenni hanno ingoiato ogni rospo (in) immaginabile, per mostrarsi belli. Come a dire: gli scandali veri e le troppe Calciopoli vanno bene, però i cori politicamente scorretti sono inaccettabili. Nel fango del Dio pallone il letame resta, nella speranza che qualche fiore prima o poi nasca. E se negli armadi c’è qualche scheletro, pazienza: l’unica cosa che conta, e guai a dimenticarsene, è togliere un po ’ di polvere.
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