ROMA – Andrea Scanzi, dalle pagine del Fatto Quotidiano (9 ottobre 2013). Più che piovere sul bagnato – scrive Scanzi – grandina sulle sabbie mobili. Il Milan non ne indovina una, Allegri predica (e pratica) il non-calcio e i nervi saltano come tanti Fosbury incazzosi”.
“Prima Balotelli, poi Mexes. Sette turni di squalifica in due, più o meno i punti (otto) che ha la squadra in campionato. Dopo Juventus-Milan è arrivata anche la squalifica del campo. Adriano Galliani ha tuonato: “Abbiamo deciso di presentare ricorso, ho già parlato col presidente Abete. Questa norma sui cori e la discriminazione territoriale non ha senso, va abolita e tutti i presidenti di A sono d’accordo. Un conto è il razzismo, un conto la storia della discriminazione territoriale che non può essere paragonata al razzismo”. Per lo stesso motivo anche la Lazio giocherà a porte chiuse con l’Apollon Limassol in Europa League. Essere d’accordo con Galliani può risultare indigesto, ma il concetto di “discriminazione territoriale” è invero labile. Michel Platini, presidente Uefa, è l’artefice primo della meritoria stretta di cinghia contro le intolleranze razziali (un “tifoso” del Tottenham è stato arrestato domenica per avere usato la parola “ebreo” allo stadio). IL CODICE di giustizia sportiva, art. 11 e 18, recita: “Costituisce comportamento discriminatorio ogni condotta che comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale o etnica”. Se a discriminare è il giocatore, dieci turni di squalifica. Se è il pubblico, paga la società. E qui torna il problema della responsabilità oggettiva, che peraltro il Milan ben conosce (vedi alla voce “Buttati a terra!” di Carmando ad Alemao durante Atalanta-Napoli, stagione 1989 / 90). Ancora Galliani: “A Torino ho sentito cori contro Balotelli, e non è successo niente. Questa sanzione non la possiamo proprio accettare. La prossima volta ci sarà lo 0-3 a tavolino e penalizzazioni in classifica. Se 50 persone si organizzano, possono uccidere una società”. Qualsiasi squadra è in balia delle tifoserie, con cui peraltro il rapporto è spesso equivoco a prescindere. Basta qualche infiltrato e il danno è fatto. La norma è chiara: settore a porte chiuse per la prima violazione (al Milan è già accaduto dopo i cori di Milan-Napoli), stadio chiuso per la seconda, partita persa alla terza. E altre sanzioni accessorie. Chi segnala il coro? La Procura federale. Galliani contesta anche questo aspetto: “Nessun giornale o tv ha sentito quei cori, perché probabilmente non c’è stato nulla. Sarebbero stati sentiti da alcuni funzionari della Procura federale. Forse li hanno sentiti in bagno, al bar o non so dove. Ora mi prenderò una squalifica ma non per discriminazione territoriale”. È poi il giudice sportivo, nella fattispecie Gianpaolo Tosel, a comminare o meno la pena. Si apre, anzi si spalanca, il regno della soggettività. Alcuni cori sono tollerati (“Noi non siamo na-po-le-ta-ni!”) e altri (più o meno riconducibili a certi fuorionda di Matteo Salvini) no. Tosel ha così motivato la squalifica: “Obbligo di disputare una gara a porte chiuse e ammenda di 50 mila euro alla società alla Società Milan per avere alcune centinaia di suoi sostenitori, alcuni minuti prima dell’inizio della gara, al 6 ° e al 43 ° del secondo tempo, intonato un insultante coro espressivo di discriminazione territoriale nei confronti dei sostenitori di altra società”. Non un solo coro, ma tre. Ingiurie indirizzate ai napoletani, che peraltro con quella partita non c’entravano nulla. Galliani non li ha sentiti, ma si parla di 800 ugole coinvolte. Svariate le voci critiche. Maurizio Beretta, presidente della Lega, ha esortato a “rivedere l’apparato sanzionatorio”. Il vicepresidente dell’Osservatorio del Viminale Massucci aveva già ammonito: “Normativa durissima, attenti ai ricatti delle curve”. E praticamente tutte le tifoserie hanno attaccato Tosel; surreale – e a modo suo divertente – lo striscione “Napoli colera. E adesso chiudete la curva” esibito al San Paolo dai tifosi del Napoli. Quelli dell’Inter si spingono oltre e invitano tutti gli ultras a intonare “cori discriminanti per arrivare a una domenica di totale chiusura degli stadi”. LA NORMA ha intenti nobili e vorrebbe fungere da deterrente per le troppe curve fascistoidi. È poi vero che, ogni stagione, centinaia di tifosi “progressisti” stracciano la tessera perché schifati dal comportamento di chi gli siede vicino, ma non per questo gli somiglia. Resta però il dilemma di fondo: cosa è lecito e cosa no? I cori infami che ironizzano sulle tragedie di Superga e Heysel sono o non sono discriminazione territoriale? Se un manipolo di infiltrati si nasconde nella curva (ipotesi) della Fiorentina e intona slogan da galera, deve poi essere la società viola a pagarne le conseguenze? E qual è il numero “giuridicamente rilevante” perché uno slogan diventi coro? Dieci persone? Venti? Cento? Il giro di vite di Platini ha una sua logica, ma rischia di curare un virus moralmente purulento con un bombardamento a tappeto. Peggiorando, benché in buona fede, la situazione.”
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