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Angelo Rizzoli. Niente colpe: editore vero e sfortunato, debole in verminaio P2

di Gianluca Pace |14 Dicembre 2013 8:52

Angelo Rizzoli

ROMA –  La morte di Angelo Rizzoli è riferita con pagine di cronaca e di commento sui quotidiani i venerdì 13 dicembre. C’è molta retorica e molti dei cronisti di oggi non hanno la memoria del passato ma due articoli si segnalano alla lettura:

quello di Paolo Panerai su Italia Oggi, una testimonianza in prima persona, dall’interno del sistema Rizzoli, dove Paolo Panerai fu giovanissimo, appena trentenne, direttore del Mondo. Un articolo equilibrato, senza sconti.
quello di Alberto Statera, su Repubblica: l’articolo di uno dei pochi che abbia memoria.
Vittorio Feltri sul Giornale di Berlusconi, che ha sempre sostenuto le pretese di revanche di Angelo Rizzoli, finalizza la vicenda al tema anti giudici.
Deludente quello del Corriere della Sera, forse gravato da troppa cristalleria.
Incompleto ma leggibile quello di Mattia Feltri sulla Stampa.
E poi molto miele, molte lacrime, molta retorica, con un velo di oblio steso sulle colpe.

“Un editore vero ma sfortunato” Angelo Rizzoli, morto mercoledì tra le braccia della moglie, Melania De Nichilo. Così dice oggi chi lo conosceva bene. Ma anche “un uomo fragile”. Una parabola, quella di Angelo Rizzoli, che si è scontrata con i vecchi vizi e i peccati “di una politica famelica e di una borghesia vile, i vizi di un capitalismo di rapina e il malaffare di una congerie di poteri occulti”.

Aveva settant’anni ed era malato di sclerosi multipla, Angelo Rizzoli quando il 14 febbraio scorso era stato arrestato dalla Guardia di Finanza di Roma, con l’accusa di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale. “Mio marito era malato, ma questa vicenda giudiziaria gli ha spezzato il cuore, lo ha sfinito” ha dichiarato la moglie.

“Una parabola sfortunata”. E’ il 1974 quando il padre, Andrea, compra il Corriere della Sera, poi, incurante dei debiti, il gruppo Rizzoli continua a comprare:  TeleMalta, la Gazzetta dello Sport, Il Mattino di Napoli, Il Piccolo di Trieste e l’Alto Adige, Rizzoli compra, “su ordine della Democrazia Cristiana e soprattutto della Loggia massonica P2 di Licio Gelli e Umberto Ortolani, che è diventata la vera padrona del gruppo”. Nel 1978 la presidenza passa ad Angelo, “l’editore vero ma sfortunato”, poi l’arresto nel 1983, il divorzio da Eleonora Giorgi, il secondo matrimonio e il ritorno all’azione, all’imprenditoria, questa volta nel cinema. A febbraio il secondo arresto, in ospedale, “per un crac da 30 milioni di euro. Secondo l’accusa le risorse della società sono state distratte per acquistare beni personali”.

Oggi la notizia della sua morte, la memoria della sua parabola è finita di nuovo tra le prime pagine dei giornali.  C’è molta retorica e molti dei cronisti di oggi non hanno la memoria del passato ma due articoli si segnalano alla lettura: quello di Paolo Panerai su Italia Oggi, una testimonianza in prima persona, dall’interno del sistema Rizzoli, dove Paolo Panerai fu giovanissimo, appena trentenne, direttore del Mondo. Un articolo equilibrato, senza sconti:

Angelo Rizzoli sapeva essere editore. Purtroppo molte debolezze (non solo fisiche), il condizionamento finanziario che lo spinse nelle braccia della P2 perché le banche allora erano in genere condizionate dai politici che avevano tutto l’interesse ad avere una Rizzoli-Corriere della Sera debole, una vita dispendiosa, scelte di manager sbagliati, una sapiente regia degli avversari nei confronti della magistratura: tutto questo lo ha precipitato in un vortice superiore alle sue forze e al suo rigore. Il carcere lo fiaccò ancora di più. Un aiuto gli venne da Silvio Berlusconi, che aveva avuto il vantaggio di poter acquistare durante la bufera tutta la library della Cineriz. Angelo cominciò allora a fare il produttore, il secondo mestiere di successo del nonno. Per alcuni anni ha vissuto sereno. Fino alla nuova sconfitta in tribunale nel tentativo di recuperare dignità e soldi dagli eredi dell’Ambrosiano. La malattia sempre più grave. Alcune operazioni illegali e di nuovo gli arresti. Se n’è andato un editore vero, anche se con forti difetti, meno quello di sapere che i giornali dovrebbero servire solo i lettori. Spesso se n’è ricordato, anche a suo danno. Altre volte no, ma anche per la debolezza e la piaggeria di alcuni direttori. Pace all’anima di un uomo che comunque ha sofferto molto negli anni più bui dell’Italia.

“La morte di Angelo Rizzoli parabola di un uomo debole nel verminaio targato P2” titola Repubblica, un articolo a firma di Alberto Statera, uno dei pochi che “dimostra memoria”, che ripercorre la parabola di Angelo Rizzoli:
Da un’avventura molto più grande di lui, erede di terza generazione di una cospicua fortuna formata nell’Italietta del dopoguerra, Angelo Rizzoli dopo tanti anni è uscito quasi pulito nei processi perché fu vittima della banda della P2, ma anche perché nel 2006 il reato per cui fu arrestato è stato depenalizzato. Tornato al cinema con la sua casa di produzione sponsorizzata da Berlusconi, però ne ha combinate ancora. Nel febbraio scorso è stato di nuovo arrestato (in ospedale) per un crac da 30 milioni di euro. Secondo l’accusa le risorse della società sono state distratte per acquistare beni personali.
Dopo una vita così sfortunata nei luoghi in cui i furbi senza scrupoli proliferano sereni, in fondo non c’è che da augurare all’erede di terza generazione di una fortuna che si è rivelata maledetta: riposa in pace.

“Ucciso da una giustizia cieca che cerca le luci della ribaldi” scrive Vittorio Feltri sul Giornale di Berlusconi, che ha sempre sostenuto le pretese di revanche di Angelo Rizzoli. Un articolo, quello di Feltri, che riduce la vicenda al tema giudiziario:

Nonostante un temperamen­to d’acciaio, una settimana fa Rizzoli è crollato: un dolore op­primente alla gola e al petto; su­bito il ricovero d’urgenza al Ge­melli. Sarebbe stato indispensa­bile ricorrere ai bypass perché le coronarie erano otturate. Ma co­me si fa a operare un individuo col diabete e l’insufficienza rena­le, più la solita polmonite che di norma sopraggiunge nei cardio­patici, e per sovrammercato quotidianamente dializzato e in­tub­ato per compensare la respi­razione difficoltosa?
Non so se per chi soffra la mor­te sia un sollievo. Ma so che An­gelo non era in condizioni di sop­portare altre torture in aggiunta a quelle patite dalla cosiddetta giustizia. La sfortuna, e non sol­tanto quella, si è accanita su di lui con una ferocia senza pari. La famiglia Rizzoli in 40 anni è stata asfaltata, saccheggiata, perse­guitata. A differenza di tanti im­prenditori che ne hanno combi­nate di ogni colore, cavandosela sempre con pene miti o nessuna pena, e soprattutto conservan­do il patrimonio e la pelle, i di­scendenti del vecchio genio (da martinitt a proprietario di un co­losso) sono stati massacrati.
È proprio vero che se il destino decide di pugnalarti alla schie­na, il vento ti porta via il mantel­lo per agevolare il colpo della la­ma. La morte di Angelo non pe­serà però sulla coscienza di colo­ro che l’hanno provocata: dubi­to che ce l’abbiano, una coscien­za. 

Deludente quello del Corriere della Sera (“Una vita senza mai arrendesi”), forse gravato da troppa cristalleria. Incompleto ma leggibile quello di Mattia Feltri sulla Stampa (“Processato sei volte e sempre assolto con formula piena”):

Angelo Rizzoli è morto al Gemelli di Roma poco dopo le 23 di mercoledì, mentre la moglie Melania gli teneva la mano e la testa. È morto innocente e incensurato, ma non ce l’ha fatta: voleva morire a processi chiusi. Che non un’ombra lo oscurasse. Si porta con sé l’accusa di bancarotta fraudolenta per cui finì in carcerazione preventiva lo scorso febbraio, il giorno di San Valentino. Andarono a prenderlo a casa all’alba, come usa. Era in cura per la sclerosi multipla di cui soffriva sin dai diciotto anni, era affetto da ipertensione, aveva problemi al cuore, ai reni, un braccio semiparalizzato, cieco all’occhio sinistro, e siccome la gamba destra era inservibile si muoveva col bastone. In carcere glielo tolsero. Non era in grado di andare in bagno da solo. Una perizia medica stabilì che le sue condizioni erano compatibili con la detenzione. Altre dissero l’opposto. Nel frattempo era stato trasferito in ospedale, al Sandro Pertini, in reparto protetto. Quando ebbe i domiciliari, sapeva che il suo tempo stava per chiudersi.

“Angelone, l’editore triste” scrive Maurizio Chierici sul Fatto Quotidiano:

Se ne è andato col ricordo dell’infanzia che richiamava quando gli amici lo andavano a consolare. “Eravamo i re della città, proprietari del Milan, giornate scandite da inaugurazioni di scuola e ospedali. E adesso eccomi qua…”

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